Dunque la politica, quella vera, ha vinto ancora. E, come sempre è successo in passato, chi tocca l’informazione della Rai finisce per essere bruciato. Magari non subito, sicuramente a fuoco lento. Rosolato diciamo. È successo con Gubitosi e Campo dell’Orto, non poteva non accadere con Salini, poco incline a rischiare ma molto adatto a ballare il ballo del mattone. Dettaglio del quale ha saputo approfittare il presidente della Rai, Marcello Foa, eterodiretto dalla Lega che, in vista delle europee, vuole una tv pubblica a trazione padana. E rischia pure di averla. Domani, mercoledi 6 marzo, sapremo finalmente come stanno esattamente le cose, essendo in programma il consiglio di amministrazione della Rai. E a Viale Mazzini sono ore di grande fibrillazione. Sulla carta i numeri ci sono, l'amministratore delegato, Fabrizio Salini, può contare sul via libera al “suo” (formalmente si ma tutti sostengono che a scriverlo sia stato Foa su input di Salvini) piano industriale 2019-2022. Il voto contrario potrebbe arrivare dalla sola rappresentante in quota Pd, Rita Borioni. Forse anche da Riccardo Laganà, il rappresentante dei lavoratori Rai. Ma non è affatto detto, la sua è posizione a corrente alternata, ondivaga, tipica di chi cerca un forte padrinaggio politico, volendo restare in sella. Al netto di ciò queto è il primo piano industriale in assoluto per il gruppo di viale Mazzini che porti la firma di un ad e non più di un direttore generale, visto che la figura dell’amministratore delegato è stata introdotta con la riforma della governance ad opera dell'allora governo Renzi. I numeri, per Salini, dunque dovrebbero esserci. Ma dal grande, quanto ambizioso, progetto iniziale è sparito il capitolo dedicato alla newsroom unica, ovvero la centrale di comando unificata per i telegiornali. Tg1, Tg2 e Tg3 resteranno indipendenti e saldamente nelle mani degli attuali direttori. Segno che la politica pesa ancora a viale Mazzini e i tg sono un veicolo formidabile per far passare messaggi politici e non solo. Metterli sotto un unico cappello avrebbe voluto dire scatenare la rivoluzione. Del resto anche il sindacato interno dei giornalisti, l’Usigrai, ha fortemente contestato l’idea di una sola “stanza” per governare l’attività di messa dei telegiornali, temendo per il sistema stesso dell’informazione del servizio pubblico, veicolando solo servizi troppo “graditi”. Il rischio paventato da tutti è stato quello di perdere in pluralismo. E a proposito Salini, l’ad sarà presto convocato in commissione di Vigilanza, dopo la richiesta avanzata dal Pd al presidente della commissione, per diradare nebbie o comunque fare chiarezza. Dall'altra c’è chi dubita della necessità di continuare ad avere i tg dei canali generalisti se poi esiste una newsroom unica, una piattaforma digitale, definendo questa in sostanza come un doppione o un feudo. Sin qui il quadro d’insieme. Poi, però, ci sono le “voci” della vigilia. Nei chiacchiericci romani, soprattutto nei corridoi di viale Mazzini, il tema del giorno è il vero o verosimile faccia a faccia che ci sarebbe stato tra l’ad Salini e il vice premier quasi omonimo, Salvini. Dallo staff dell'ad nessuna risposta, solo silenzio.. L’Usigrai protesta e parla - se vera la notizia - di “gravissima ingerenza politica”, ma da ambienti Rai si affrettano a rubricare le cosa come puro replica con “ gossip". Ma proprio il gossip è l’elemento dominate di queste ore. Come la notizia, poi risultata non vera, che il presidente Marcello Foa fosse a capo dell'associazione Asimmetrie, considerata vicina alla Lega. Nel progetto di Salini c’è l'intento di puntare sui contenuti più che sulle strutture quasi codificate, come le reti e la loro classificazione o lottizzazione, e attraverso essi - sul modello Bbc o France Television - trovare spazio sui mercati, conquistare terreno, recuperare il gap accumulato negli anni. Foa invece mira all’esatto opposto, creare nuove caselle sulle quali piazzare figure di riferimento. Sul punto Laganà è abbastanza netto, tanto da chiedere se vi siano risorse sufficienti per realizzare concretamente il piano industriale. Dubbi anche sull'operazione che dovrebbe portare al via del canale Rai in lingua inglese, e viene lamentata la mancata risposta ai dubbi sulla trasparenza e sui criteri di nomina delle figure apicali. E sempre domani, per chi vuole una variazione sul tema, è in agenda l’audizione del direttore di Rai Due, Carlo Frecero, in Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Se avere impegni liberatevi, meglio di un fiction…
di Alberto Milani
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