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Salone della Giustizia 2019, Marvasi: obiettivo promuovere ai giovani la cultura della legalità



Il Salone della Giustizia compie dieci anni e l’edizione che si aprirà domani ed andrà avanti fino all’all’11 aprile all’hotel Parco de Principi di Roma – e che sarà inaugurata dal presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi - si caratterizza per una stretta aderenza ai tempi del presente. Nei sei convegni e 18 workshop che scandiranno la tre giorni romana si legge in controluce la vicenda italiana, le sue potenzialità ed i suoi limiti, che sono piombo sulle ali per la crescita economica, sociale e culturale del Belpaese. Dai disservizi dei tribunali all’emergenza lavoro e alle “ricette” del governo Salvini-Di Maio, dalla questione femminile ai temi del rilancio economico, dall’antisemitismo alla cooperazione internazionale, dalla blockchain alla validità della Costituzione del 48: non c’è tema dell’agenda nazionale che non trovi spazio nello svolgimento dell’evento. Ne parliamo con Tommaso Marvasi, presidente del Tribunale per le imprese di Roma e membro del comitato scientifico del Salone, la persona che da anni segue da vicino la costruzione delle varie edizioni del Salone.


Marvasi, qual è l’obiettivo che il Salone della Giustizia si prefigge?

«Un obiettivo ambizioso, quello cioè di promuovere tra le giovani generazioni la cultura della legalità. Il Salone delle Giustizia parte proprio da questa idea iniziale e mira ad avvicinare i cittadini alla giustizia, al suo modo di procedere. Come si sviluppano i processi, quali sono i rapporti tra la giustizia e il mondo economico? Come funziona un’aula di Tribunale? Ci siamo resi conto in questi anni che c’era negli studenti una gran voglia di approfondire queste tematiche e da questo punto di vista abbiamo intrapreso un percorso innovativo. Per dire, abbiamo fatto simulazioni di processi, proprio per permettere ai ragazzi di vedere da vicino come funziona la macchina della giustizia. Abbiamo ricostruito, con l’ausilio di alcuni attori che facevano la parte di magistrati, dei casi concreti; abbiamo fatto una ricostruzione delle cella di sicurezza di un carcere. L’attenzione all’universo giovanile è da tempo una costante nelle edizioni del Salone e si si coglierà anche in uqella che si apre domani».


Uno dei degli eventi della tre giorni sarà dedicato alla questione femminile, con un occhio alla storie femminili di successo.

«Sì, per la precisione il titolo del convegno è “È solo una donna/Only a woman” che vedrà tra le relatrici la vice presidente della Camera, Mara Carfagna e l’ambasciatrice del Regno Unito in Italia, Jill Morris. Purtroppo non potrà essere presente la presidente del Senato Casellati, impegnata all’estero, che ha inviato però un messaggio ai nostri lavori».


La lentezza della giustizia non tocca solo i cittadini, ma si riflette anche sulla questione degli investimenti. La decima edizione del Salone della Giustizia si concluderà proprio affrontando uno dei problemi che affliggono la nostra economia e cioè la capacità di attrarre investimenti esteri, contando su una giustizia rapida ed efficiente. “Buona giustizia, ottimi investimenti” è il titolo del convegno che si terrà l’11 aprile.

«Quello degli investimenti frenati dalla farraginosità della giustizia è un tema enorme, destinato ad incidere negativamente anche sul Pil. Nella passata edizione, lo ricordo benissimo, l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, fece un intervento nel quale spiegò che la carenze e le lentezze del nostro sistema giudiziario avevano come risultato una contrazione degli investimenti americani nel nostro Paese, investimenti che invece nel resto d’Europa avvenivano in misura tripla rispetto all’Italia. Quest’anno ad affrontare la questione, moderati dal direttore del Messaggero, Virman Cusenza, ci saranno, tra gli altri, l’attuale ambasciatore Usa, Lewis Eisenberg, Luciano Barra Caracciolo, sottosegretario per gli Affari Europei e Stefano Manzocchi, direttore dipartimento economia e finanza Luiss-Guido Carli».


Lei è presidente del Tribunale per le imprese, nato nel 2012 con l'obiettivo di ampliare la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale. E’ uno strumento che si è rivelato utile?

«Sono presidente del Tribunale per le imprese dalla sua istituzione, ruolo che lascerò a breve per un altro incarico. Il Tribunale per le imprese è stato un istituto che ha dato sicuramente giovamento alle aziende, soprattutto per quel che riguarda la proprietà industriale, in particolare marchi e brevetti. Dopo quasi 7 anni vedo tuttavia che sta perdendo la sua efficacia anche perché i giudici dei tribunale per le imprese vengono sovraccaricati anche di altre materie. Il risultato è, anche qui, un rallentamento della macchina. Sono convinto, anche nel mio ruolo di presidente dell’Osservatorio sulla risoluzione alternativa delle controversie, che in Italia occorre indirizzarsi con più decisione, proprio per alleggerire i tribunali, verso l’istituto della mediazione».


Che c’è ma non funziona a dovere, giusto?

«L’istituto della mediazione è stato introdotto da anni ma non ha ancora dato i risultati sperati, perché, intanto, c’è una resistenza ad affidarsi alla soluzione alternativa da parte dei cittadini, che in una lite vogliono sempre e comunque ricorrere al giudice, e poi perché la procedura della mediazione, a differenza di quel che avviene per esempio, negli Stati Uniti, è un po’ troppo complessa e non incentiva a scegliere questa strada».


Insomma, gli italiani sono il popolo più litigioso del mondo.

«Sì, e in tutto questo c’è anche un controsenso. I cittadini che sono sempre scontenti e critici nei confronti della magistratura sono gli stessi che per risolvere le loro questioni, anche le più banali, vanno avanti a forza di querele e tribunali. La questione delle piccole liti andrebbe risolta senza dover ricorrere al tribunale: spesso il cittadino si mette in un tunnel da cui si esce dopo 10 anni, anni in cui si sono consumati energie e denari. E’ una questione culturale che va affrontata».


Nuovo codice degli appalti. Qual è la sua opinione? Lo strumento funziona o rischia di inceppare il sistema?

«Il sistema si è già inceppato. Non funziona bene perché bisognerebbe tenere conto della necessità che gli appalti si svolgano e vadano avanti. Si sono messi troppi limiti e paletti, fermo restando che è quanto mai importante che ci sia un rigoroso controllo, pensiamo a quel che sta accadendo a Roma dove negli appalti pubblici vediamo venir fuori corruzione e criminalità. Il punto però è che oggi un amministratore locale ha molte remore e perplessità quando si trova davanti ad un appalto. Andare avanti o bloccare tutto: un dilemma che spesso si risolve nel non fare. Anche perché si rischia in prima persona. Le decisioni della politica, dovrebbero essere veloci e invece ci si paralizza. Ma, attenzione, è anche nella paralisi che può prosperare il malaffare. E così quello che si pensava di aver fatto uscire dalla porta rischia di rientrare dalla finestra».


di Giampiero Cazzato

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