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Salvini e Di Maio cercano l'intesa sul bilancio e assicurano: «Il reddito di cittadinanza si farà»



Prove di intesa, marcamento del territorio. Luigi Di Maio e Matteo Salvini, figure d'autorità politica nei rispettivi partiti, anticipano il summit di Palazzo Chigi con il presidente Giuseppe Conte e i ministri di Economia, Esteri e Affari europei, rilasciando interviste radiofoniche atte a segnare i confini che dividono le due ali di governo sui provvedimenti insiti nel Contratto con gli italiani, lo strumento sutura che per ora tiene in piedi l'avventura della XVIII legislatura.


Una riunione tecnica per discutere di manovra fiscale e di istituti cari a Lega e 5Stelle. Senza entrare limpidamente in contrasto, i due vicepremier mettono comunque bocca sugli obiettivi altrui, in difesa dei propri, e annunciano entrambi una manovra che sarà «coraggiosa ma che terrà in ordine i conti». Già un altro sentire rispetto a quando, a fine maggio, l'ipotesi di lavorare in deficit veniva sbandierata come una quasi certezza. È servito il labor limae dell'inquilino di via XX Settembre, Giovanni Tria, per riportare coi piedi per terra i capi politici dei due partiti al governo e convincerli della necessità di non sforare oltre i paletti imposti dall'Europa, vista la situazione ancora precaria dell'economia italiana e considerato il suo enorme debito pubblico.


Luigi Di Maio, in un'intervista a Radio Radicale, ha tirato in ballo flat tax e pace fiscale, tanto care a Salvini, dicendo che «sono tutti argomenti da contratto, devono aiutare i più deboli, se favoriscono i più ricchi non va bene». Un modo per mettere le mani avanti e rispondere al capo del Carroccio, che ieri, al termine di un summit coi suoi fedelissimi, interpellato sulle priorità della legge di bilancio, aveva risposto che «la priorità resta la legge Fornero che è palesemente sbagliata. Arrivare a quota 100 e mandare in pensione chi se lo è meritato». Nessuna traccia del reddito di cittadinanza, il baluardo su cui i grillini hanno costruito le loro fortune nella tornata elettorale che ha portato alla nascita del governo gialloverde. «Non metto becco nei temi altrui», la replica del vicepremier, che comunque rassicura l'alleato con un «si farà, è nel contratto». Più interessato a spegnere eventuali focolai il delfino di Beppe Grillo, che ieri, al termine del summit coi vertici a Palazzo Chigi, aveva rasserenato il dibattito affermando che «reddito di cittadinanza e flat tax non sono alternativi».


Prove di intesa al rientro a lavoro dopo la pausa estiva, che ha comunque visto Salvini sempre al centro del dibattito politico, e non, e sempre in grado di rubare l'occhio e le prime pagine dei quotidiani con il suo "pugno duro" sull'immigrazione. Altro tema su cui si annuncia qualche frizione sembrerebbe essere quello sul decreto anticorruzione: se è nota la posizione pentastellata di giustizialismo ad oltranza, che rischia derive in processi sommari e anticostituzionali, quella della Lega e di Salvini, almeno per ora, si pone come una linea a cavallo tra le posizioni grilline e quelle garantiste del centrodestra e in particolare di Forza Italia: «Sul Daspo a vita per i corrotti stiamo leggendo e rileggendo il testo: la lotta senza quartiere alla corruzione è una priorità, come quella alle mafie. Ma bisogna stare attenti a garantire che fino al terzo grado di giudizio si è innocenti, processi sommari non sono da paese civile. Ma chi corrompe deve pagare». Un grosso "ma" avversativo che finisce con lo svilire tutta la campagna "spazza corrotti" allestita dalle parti del portale Rousseau.


In attesa di una manovra che sarà davvero lo spartiacque per capire se esisterà un governo anche nel 2019 o se il ritorno alle urne sarà un passo obbligato, gli attori principali cercano concordanze e tentano di appianare le distanze, senza però tralasciare qualche stoccata che ci ricorda come il clima da campagna elettorale non sia poi mai stato abbandonato.

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