La notizia era già arrivata in tempi non sospetti, ma era finita nel ripostiglio della politica, pronta a tornare in auge al momento opportuno. Il ministro degli Interni Matteo Salvini è nuovamente indagato per il reato di sequestro di persona per la vicenda legata alla nave ong Sea Watch, ritenuta dagli inquirenti non dissimile da quanto avvenne in agosto per la Diciotti. L'imbarcazione che batteva bandiera olandese, che nello scorso gennaio aveva salvato dalle onde 45 migranti (tra cui figuravano 15 minori), era stata costretta alla fonda a largo di Siracusa per diversi giorni prima di ricevere l'autorizzazione a sbarcare i naufraghi nel porto di Catania. L'indagine, avviata dalla Procura di Roma, che aveva poi girato le carte ai colleghi di Siracusa, competenti in quanto la nave era stata bloccata proprio nelle acque del capoluogo provinciale siciliano, è ora nelle mani della Procura di Catania, che dovrà ravvisare o meno gli estremi per il reato ministeriale ai danni di Salvini. Se così fosse saremmo di fronte a un Diciotti-bis in tutto e per tutto e si riaprirebbe l'iter parlamentare per decidere le sorti del leader della Lega, i cui rapporti con l'altra ala della maggioranza di governo sono nel frattempo deteriorati.
La domanda che serpeggia, infatti, è proprio se, in caso di nuova votazione in Senato, la fronda dei grillini "disertori" potrebbe allargarsi e rischiare di creare una spaccatura sia nel Movimento 5 Stelle sia, soprattutto, nel cuore dell'esecutivo e scatenare la crisi di governo che molti attendono al varco dopo la tornata elettorale europea. Di sicuro, dalla votazione di marzo, in cui furono proprio i 5 Stelle ad evitare la grana processuale al leader del Carroccio, le schermaglie verbali tra le due teste pensanti del patto Gialloverde si sono fatte più frequenti e maliziose, dardi avvelenati scagliati con sospetta precisione. Ma tutto lascia pensare che, in accordo con quanto già visto in questi mesi di governo, la strategia della propaganda a tutti i costi, dei titoloni e dei rimbrotti che non portano a nulla, sia finalizzata più a racimolare gli ultimi voti degli indecisi che a minare le sorti dell'esecutivo. La verità, emersa per l'appunto in occasione del voto in Senato sulla Diciotti, è che tanto i 5 Stelle quanto la Lega non abbiano fretta di staccare la spina, un po' perché l'appetito vien mangiando, un po' perché restano diversi punti in ballo di quel Contratto a cui nessuna delle due forze vorrebbe rinunciare. Per Salvini poi, l'esperienza da titolare del Viminale è stata la maggiore cassa di risonanza possibile per la sua strategia da "asso piglia tutto", la chance per sfoggiare e farsi immortalare con le divise di ogni autorità possibile e immaginabile e di mettere lo zampino su molti dei temi critici e di maggiore mediaticità occorsi negli ultimi mesi. Per Di Maio e diversi tra i grillini, invece, c'è anche la grana del vincolo del doppio mandato, che costringerebbe molti a rimanere a casa in caso di nuove elezioni politiche, anche se dopo le batoste elettorali su scala locale si sarebbe aperto lo spiraglio per una rivoluzione interna allo statuto del movimento ancora tutta da scrivere.
Intanto da Monza, dove era presente in occasione dell'inaugurazione della nuova questura, il capo politico leghista è tornato a sparare sulla bandiera gialla, questa volta prendendosela con il ministro della Difesa, la grillina Elisabetta Trenta, che nelle scorse ore aveva sollevato nuovamente delle perplessità, sfociate in autentiche preoccupazioni, sulle conseguenze del clima libico dopo l'avanzata del generale Haftar verso Tripoli. «In caso di guerra», infatti, sottolineava il ministro, «i migranti diventerebbero rifugiati» e l'Italia non potrebbe più cavarsela, in sostanza, con la linea dei porti chiusi contro gli scafisti e le morti nel Mediterraneo, su cui per altro il titolare del Viminale deve essersi ravvisato, parlando di averle «ridotte tantissimo», già un passo avanti rispetto alla vergognosa bufala dell'unico morto nel Mediterraneo, di cui si vantava soltanto un mese fa. «I porti con me rimangono indisponibili chiusi e sigillati ai mercanti di esseri umani» e ancora, «io non cambio idea: se qualcuno ha cambiato idea nel governo, nei Cinquestelle, me lo dica. I numeri ci danno ragione. Quest'anno abbiamo ridotto del 90% gli sbarchi, abbiamo ridotto di tantissimo i morti e i dispersi. Se qualcuno ha nostalgia degli sbarchi a centinaia di migliaia, dei porti aperti, avanti c'è spazio per tutti, accogliamo tutto il resto del mondo, ha trovato il ministro sbagliato. Salvini e la Lega dicono no». Un autentico muro contro muro, quello inaugurato da Salvini, evidentemente sordo alle dinamiche internazionali così come alle convenzioni firmate dall'Italia che non possono essere ignorate o rigettate sulla base di scelte politiche unilaterali. Non contento, il ministro degli Interni se l'è presa anche con l'altro vicepremier, Luigi Di Maio, la cui strategia di giocare a fare il Salvini, sollevando dubbi sull'operato del collega, secondo lo schema caro al leghista, sta avendo l'effetto sperato di stuzzicare i nervi al Capitano, che risponde piccato, dichiarando di non permettersi «di dare lezioni (a Di Maio, ndr) su come risolvere le centinaia di crisi aziendali che sono ferme sul suo tavolo. Chiedo altrettanto rispetto: di ordine pubblico, sicurezza, difesa dei confini mi occupo io. Ci metto la faccia e rischio personalmente». A chiudere la sequela di dichiarazioni, un attacco, ormai frontale, all'amministrazione della Capitale, a quella Raggi che Salvini non consiglierebbe più di votare «se si andasse domani alle urne». Anche qui la strategia ad ampio raggio punterebbe a proporre un candidato ben visto dalla Lega e da Fdi per Roma, anche se per ora il «magna sereno» della sindaca rimanda ad un futuro prossimo anche questo, ennesimo, verdetto.
di Alessandro Leproux
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