"Normalità" ; "buon senso" ; "responsabilità". La Lega che fa il pienone a piazza del Popolo a Roma, per la prima volta anche con il Tricolore in bella vista, certamente conferma che il governo durerà cinque anni. Ma di fatto si candida a guidare il Paese come forza egemone, centrale. Il messaggio politico di Matteo Salvini, e che viene anche sul piano plastico dalla stessa piazza, alla quale si aggiungono pure molti romani, che passeggiavano in Via del Corso nel giorno della festa dell'Immacolata, è incentrato su questa aspirazione. Che il ministro dell' Interno e vicepremier di fatto rende esplicita. Lo fa quando dice che lui mai "quando venivamo qui ed eravamo al 4-5 per cento" avrebbe "immaginato diventassimo la prima forza del Paese". Rassicura naturalmente gli alleati, anzi contraenti cosi: "Non farò cadere il governo per un sondaggio". "Piedi per terra, ho visto tanti unti del Signore in questi anni...", osserva prudente il capo, anzi "il capitano" (come lo acclamano la piazza e i parlamentari arrivati in corteo dalla Camera) leghista. Ma tutto il discorso di Salvini è incentrato sul fatto che la Lega ha preso il largo e "la prima forza del Paese" parte da qui per un programma, un sogno di "50 anni volto a costruire un'Italia migliore che vuole tornare a essere prima in Europa". Salvini va oltre il governo e parla come se comunque lui, almeno lui, al governo ci starà non solo per questa legislatura ma anche dopo. Rassicura Di Maio:"Ringrazio Luigi per il lavoro fatto anche se vorrei aggiungere una notazione:l'Italia di tutto ha bisogno tranne che di nuove tasse". Ma al di là della contingenza, Salvini dà l'idea di un leader che persegue l'obiettivo di fare della sua Lega il perno politico centrale del Paese. Una sorta di quel partito della Nazione già perseguito da Matteo Renzi, ma con gambe più solide. E, appunto, con "piedi per terra". Come Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, presentato sul palco con un po' di ironia verso le accuse dei grillini come "la manona e non la manina", raccomanda prima di Salvini. "Noi siamo quelli che guardano al cielo, ma tenendo i piedi per terra", ricorda "il Gianka", come chiamano affettuosamente in Lega il potente Richelieu padano. Che contro le accuse dei "portavoce dei poteri forti" nei confronti dei leghisti ribadisce: "Noi siamo la Lega, ovvero quelli della normalità e della responsabilità". E Salvini ironizza: "Quando leggo i giornali verrebbe da dire: tanti nemici, tanto onore ma non lo faccio sennò mi prendono per un nostalgico". Insomma, come dire: la smettano di darmi del fascista. Tutto il suo discorso "mite" sembra perseguire il disegno della Lega "prima forza", asse politico centrale del Paese. Addirittura promette che la Lega "darà il sangue per ridare linfa al sogno europeo". E proprio richiamandosi al Trattato di Maastricht dice che però "nessun passo indietro" sarà fatto se la Ue rimetterà in discussione "piena occupazione e crescita sostenibile" quello, sottolinea Salvini, che è scritto "esattamente quello che è scritto in quel Trattato". È il suo un discorso sovranista ma stavolta declinato in chiave europeista, anche se sembrerà un paradosso :"Non ci chiudiamo nei confini nazionali, bisogna riportare unità e amicizia in un continente che rischia sennò di essere schiacciato dalle grandi potenze, che i Soros vorrebbero vedere ridotto a un grande mercato dei consumatori che vanno nei centri commerciali a acquistare prodotti cinesi". Anche la citazione di "S. Giovanni Paolo Secondo" è fatta in chiave "europeista", pure nel passaggio sulle comuni radici cristiane. Insomma, è un Salvini che cerca di rassicurare quei cosiddetti "moderati" che vedono nella Lega una forza radicale, in chiave lepenista. Ha parole di riprovazione per la violenza "mai condivisibile" delle manifestazioni dei gilet gialli a Parigi anche se aggiunge che "miseria e impoverimento" l'hanno seminata. È lontana anni luce l'immagine della manifestazione leghista di soli pochi anni fa nella stessa piazza del Popolo dove si affacciarono anche le bandiere di Casa Pound. Salvini cerca di rimodulare gli accenti anche dopo le proteste proprio del suo Nord sulla manovra e i no alla Tav dei Cinque Stelle, usa attenzione per gli artigiani e gli imprenditori ai quali domani domenica 9 dicembre aprirà le porte del suo ministero, pur non essendo lui ma Di Maio il ministro del lavoro. "Il capitano" traccia la lunga rotta della sua Lega "prima forza del Paese". Una navigazione che sarà fatta davvero in eterno con i Cinque Stelle?
di Paola Sacchi
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