Segretario Sbarra, perché secondo voi lo sciopero generale non s’ha da fare? Vedendo quel che accade dall’esterno, sembra che Mario Draghi vada avanti per la sua strada, senza badare troppo alle richieste dei sindacati?
Non è così. E, per capirlo, basta confrontare la Legge di Bilancio di oggi con quella di ottobre. Di passi avanti ne sono stati fatti tanti, proprio in virtù del dialogo riconquistato con il Governo. Non si possono chiudere gli occhi davanti all’evidenza. Abbiamo ottenuto miglioramenti fondamentali su riduzione delle tasse ai lavoratori e pensionati, risorse per gli ammortizzatori universali, stanziamenti per la sanità e la non autosufficienza, rinnovi al pubblico impiego, aumento del fondo caro bollette, rifinanziamento del Reddito di cittadinanza, rivalutazione delle pensioni, aumento della tax area per i pensionati. E poi l'impegno forte ad aprire al più presto un confronto con il sindacato per superare le rigidità della Legge Fornero e per accelerare la riforma fiscale. Avanzamenti ottenuti da una mobilitazione sindacale intransigente, responsabile e costruttiva. Su questa strada dobbiamo proseguire per migliorare ulteriormente l’azione pubblica, a sostegno delle fasce e delle zone deboli.
Quella che, come Cisl, avete indetto per sabato 18 dicembre, a due giorni dallo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, è stata interpretata da molti osservatori come una contromanifestazione. Lei come la definirebbe? Quali sono gli obiettivi?
La nostra manifestazione nazionale di sabato prossimo sarà nel segno della responsabilità e della partecipazione. Non andiamo in piazza contro, ma per rivendicare sviluppo, occupazione, coesione sociale con uno spirito propositivo. La Cisl punta a migliorare ulteriormente i contenuti della manovra su lavoro, scuola, politiche industriali, occupazione di giovani e donne, caro-bollette, impegnando il Governo sulle stringenti priorità economiche e sociali, senza incendiare i rapporti sociali e industriali. Non è lo sciopero la via giusta: bisogna consolidare l’interlocuzione con il Governo, che non vuol dire deporre gli strumenti dell’iniziativa sindacale, ma essere consapevoli che in questa delicata fase della storia nazionale serve coesione sociale. Unità d’intenti e d’azione, che portino a risposte su un’agenda sociale ben definita nei temi del lavoro stabile e di qualità, della formazione, del contrasto all’inflazione, della ripartenza dei salari e di tutti i redditi, della transizione industriale e della convergenza sociale e territoriale. Obiettivi che richiedono un governo partecipato degli investimenti e dei progetti del PNRR e che vanno inseriti in un quadro organico e concertato, con riforme condivise che aprano una stagione di crescita che non escluda nessuno.
Questa oggettiva contrapposizione fra voi da una parte, la Cgil e la Uil dall’altra, rompe l’unità sindacale solo per lo spazio di un mattino? In altre parole, si sente di escludere il prolungamento nel tempo di ripercussioni e rancori?
L’azione unitaria del sindacato è un grande valore, che bisogna saper coltivare ogni giorno con i fatti e non a parole. Resta, però, un mezzo e non un fine in sé. E’ evidente che in questa vicenda sono riemerse con nettezza due culture sindacali diverse: una più movimentista e antagonista, l’altra più pragmatica e partecipativa. Un monito ai soloni che continuano a sparlare di sindacato unico. Vedremo nelle prossime settimane quanto e come sarà possibile tornare a fare sintesi su obiettivi e modalità d’azione.
di Antonello Sette
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