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Scomparso Joel Robuchon, il pluristellato chef del secolo




«La cucina è semplicità, che è la cosa più difficile» era una delle frasi che più amava ripetere quando lo intervistavano, Joel Robuchon, il più grande chef del mondo. Aveva settantatré anni ed era stato soprannominato "lo chef del secolo", posto letteralmente a capo di un vero e proprio impero gastronomico che vantava suoi locali da Hong Kong sino a Las Vegas, passando per Parigi, Monaco e altre città con ben trentadue stelle sulla guida Michelin che ne faceva il cuoco con il maggior numero di riconoscimenti di questo tipo.


Molto indebolito per una lunga e crudele malattia che lo aveva colpito l’anno scorso, lo chef di Poitiers era figlio di un semplice minatore che ha cominciato ai fornelli del seminario di Mauleòn, dove era entrato per farsi prete a soli dodici anni. È stato il cuoco che per primo ha decretato la fine della nouvelle cuisine e ha portato invece la cucina sul piccolo schermo domestico.


Non divenne mai sacerdote, preferendo la chiamata delle pentole a quella dell’altare, così appena quindicenne si ritrova aiuto-pasticcere e comincia la sua ascesa di ristorante in ristorante sino a divenire, neanche trentenne, capo chef di novanta persone al Concorde Lafayette di Parigi. L’anno successivo verrà insignito dell’ambito riconoscimento di "Miglior artigiano di Francia". Poco dopo Robuchon passa al ristorante Nikko dove ottiene le sue prime due stelle Michelin. Nel 1981 apre il suo primo locale personale, lo chiama Le Jamin e aggiunge al medagliere la sua prima tripla stella e nove anni più tardi il titolo di "cuoco del secolo", attribuitogli dalla famosa guida Gault & Millau.


Robuchon si era ripromesso, una volta raggiunta la soglia del mezzo secolo, di ritirarsi dalle padelle e, cosa che ha fatto, di dedicarsi esclusivamente alla scrittura di libri di gastronomia divenuti una un vero e proprio Vangelo per i cuochi e gli appassionati di cucina, e a trasmissioni televisive nelle quali presentava ricette facili per tutti.


Robuchon, che ha rivoluzionato l'alta cucina francese, mettendo in primo piano i prodotti che sceglieva con rigore quasi maniacale, ha anche riportato la tradizione in tavola, abbandonando inutili e sofisticati orpelli per ritornare alla semplicità dei cibi di una volta. Lo chef pluristellato era sempre solito affermare: «Per essere creativi bisogna avere basi solide. Mi piace lavorare con pochi ingredienti, chi assaggia quello che prepara deve saper riconoscere le materie prime che ha usato senza difficoltà». Semplice e gustosi i suoi piatti, dal sapore di casa trasposto nei ristoranti di lusso, gusti antichi, dell’infanzia e dei nonni, come il suo insuperabile purée di patate.



DPF

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