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Sempre più italiani soffrono di depressione, a rischio i giovani




Un tempo, secondo l’antica sapienza medica, quella che oggi si conosce con il nome psichiatrico di “sindrome depressiva”, era nota come “umor nero”, “bile nera” o “Melanconia” ed era talmente reputata importante, anzi fondamentale per alcuni spiriti eletti, che a questo particolare stato d’animo sono state dedicate alcune opere d’arte a cominciare dalla “Melancholia I” di Albrecht Dürer.



Quello che cinque secoli fa era già riconosciuto dunque come uno stato necessario attraverso il quale passare per colui che volesse creare, oggi, in un’età sommersa di psicofarmaci e, appunto, antidepressivi la “malinconia”, lo “spleen” baudelairiano, l’”ennui”, o la “vita è male” di leopardi viene rigettata ogni giorno.


Secondo un recente studio infatti, sarebbero più di due milioni gli italiani che soffrono di depressione, malattia che sarebbe anche in crescita tra gli anziani. E va anche detto che l'Italia è uno dei paesi dell’Unione europea con meno persone affette da questa sindrome. Dicono anche che la depressione colpisca maggiormente il genere femminile e chi si ritrova disoccupato, sempre stando ai rilevamenti Istat.


Una delle cause è spesso vista nel cosiddetto “isolamento sociale” e così commenta Claudio Mencacci, psichiatra e “past president” della Società italiana di psichiatria: «Il disturbo depressivo è in aumento in primo luogo tra gli anziani, soprattutto donne, e la causa primaria sta nella progressiva e crescente sensazione di isolamento sociale avvertita da questa fascia di popolazione» e aggiunge


«Si è impoverita la rete familiare e sociale e, in primo luogo nelle metropoli, è ormai venuta a mancare quella tradizionale assistenza di 'buon vicinato' del passato».


L’isolamento sociale quindi stando a quanto sostiene Mencacci «È la molla che, in questi soggetti, può far scattare la depressione. Al contrario, le relazioni sociali contribuiscono a mantenere viva l'attività cerebrale».


Le categorie di giovani che non studiano e non cercano lavoro, sono tra quelle a maggior rischio di cadere in depressione ma il disturbo è in crescita anche tra disoccupati, inoccupati o persone con livello basso di istruzione, l’esatto contrario di ciò che avveniva sino all’Ottocento. Un evidente segno di come si sia modificata profondamente la “psiche” dell’uomo in appena, o poco meno, un secolo che ha visto invece crescere esponenzialmente insieme a tali disturbi le possibilità “relazionali” tra le persone grazie alle moderne tecnologie. Insomma, paradossalmente internet e i social ci hanno resi più autistici, isolati e maniacalmente depressi.



DPF

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