Era la multinazionale delle truffe. Ai “trasfertisti” spese di viaggio pagate e una percentuale di guadagno sui raggiri messi a segno: vendere falsi lingotti in oro ai commercianti, far sborsare soldi e preziosi agli anziani ai quali raccontare la storiella che il proprio figlio era finito nei guai (inesistenti) per un (falso) incidente stradale. E inoltre, agli agenti del crimine settimana corta di “lavoro”: sabato e domenica liberi. Però guai agli scansafatiche, non erano tollerati. Secondo gli inquirenti, la banda era ben organizzata. Sede centrale a Napoli, in Campania. I colpi, invece, al Centro-Nord. Dall’agosto scorso contati oltre 50 episodi tra Siena, Perugia, Milano, Treviso, Gallarate (Varese), Domodossola, Bologna, Perugia, Torino, Treviso, Padova, Milano, Napoli, Tivoli (Roma) e Lugo di Romagna (Ravenna). Ma i militari hanno intercettato piani anche all’estero: in Tunisia e Marocco. Bottino complessivo: 200mila euro circa. Refurtiva parzialmente recuperata. Addirittura, in otto casi i militari sono riusciti ad avvisare in tempo i colleghi di altre città permettendo l’arresto in flagranza dei malviventi. È lo scenario accusatorio ricostruito dai carabinieri del Comando provinciale di Siena diretto dal colonnello Stefano Di Pace in un’inchiesta coordinata dalla Procura della provincia toscana. Dodici i provvedimenti cautelari chiesti dal pm Siro De Flammineis, emessi dal Gip senese ed eseguiti oggi nell’operazione “Vulturius” (avvoltoio, ndr) da un centinaio di militari tra Napoli, Milano, Brescia, Rimini e Pistoia. Sette le misure cautelari in carcere, tre ai domiciliari e due obblighi di dimora. Uno dei malviventi è irreperibile. Le accuse: associazione per delinquere finalizzata alla truffa, estorsione, truffa aggravata, favoreggiamento personale e ricettazione.
AL POSTO DEI LINGOTTI FERRO LACCATO
Secondo le indagini, le truffe erano di due tipi. La prima quella dei finti lingotti d’oro piazzati a commercianti. In particolare ai Compro Oro nella zona del Triveneto. La centrale telefonica dell’organizzazione a Napoli. Si utilizzavano schede telefoniche intestate a immigrati, specie pakistani, buttate via alla fine di ogni “pacco”. Dal capoluogo partenopeo partivano le chiamate per i complici residenti nelle città del Nord, Milano in primis, dove in area Crescenzago un appartamento era stato adibito a base di transito. Invece, per quelli che in treno partivano da Napoli era previsto il rimborso del biglietto. I “venditori” ricevevano le istruzioni su chi rivolgersi e poi agivano. Avevano finte referenze, fasulli numeri di telefono da dare e un repertorio di battute al quale rifarsi: “Ho della merce…”, “Se vuole…”, “Non mi scambi per un truffatore…”. Insomma, il malintenzionato faceva di tutto per non forzare la mano e non sollevare sospetti. Durante la trattativa non offriva i lingotti. Al negoziante faceva vedere solo piccole vere pepite. Una volta concluso l’affare avveniva la magia: le forme consegnate erano placcate in oro ma fatte di una lega di ferro o acciaio.
“SIGNORA, SONO IL MARESCIALLO DEI CARABINIERI”
La seconda truffa seguiva un copione classico ma era curata nei minimi dettagli. La centrale telefonica napoletana dava l’ordine e gli “agenti” entravano in azione. Arrivati in città mettevano gli occhi su persone anziane, preferibilmente sole, e le seguivano fino a casa. Non era difficile arrivare al loro nome e cognome e una volta trovati partiva la telefonata. Quasi sempre la situazione inscenata era la stessa: “Signora sono il maresciallo dei carabinieri. Suo figlio ha causato un brutto incidente e ora è in caserma. Per ottenere la sua libertà va pagata una cifra. Lei possiede il denaro necessario? Ce l’ha in casa? No? Allora metta insieme gli ori che ha. Vedrà, da lei verrà l’avvocato, è una brava persona, si metterà d’accordo”. E per fugare ogni dubbio dell’anziana scattava la battuta: “Signora, se non mi crede chiami il 112 e senta cosa le risponderanno”. Il manigoldo non abbassava il ricevitore, la vittima componeva il numero e alla fine rispondeva ancora lui, magari un suo complice con voce diversa.
di Fabio Di Chio
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