Gli occhi brillano, il sorriso è incontenibile, la pura emozione che si sprigiona dalla voce è contagiosa quanto imbarazzante. Non sono scene da un matrimonio, ma è la diretta della neo vestale di Salvini, Maria Antonietta Spadorcia, in Senato subito dopo il voto della Giunta per le autorizzazioni a procedere che doveva decidere se mandare o meno a processo l’ex ministro per il caso della Open Arms. La diretta del Tg2 di ieri ha dell’incredibile, sia per la totale infondatezza della notizia che la teorica del “tuttapposto” ha annunciato agli italiani, contribuenti di un servizio pubblico diventato ormai privato, sia per l’estasi emotiva della giornalista, che sicuramente deve aver dimenticato la deontologia professionale. Forse è vero il leit motive lanciato in un libro sulla vita di Salvini, in cui si dice che il Capitano è l’uomo più desiderato, anche in segreto, dalle donne dello Stivale. Sennò non si spiega, se non con la sfegatata appartenenza politica alla Lega che sospinge le carriere in TeleVisegrad e mal si addice al dovere di cronaca, perché la Spadorcia è apparsa così radiosa in video quasi fosse il giorno del suo matrimonio. D’altronde, si sa, che dopo un periodo di grande difficoltà al tg2 durante il quale ha trovato il modo di scrivere il libro edito dalla Male Edizioni “Di corsa e di carriera”, titolo premonitore? la fortuna della Spadorcia è arrivata dopo l’incontro con il leader del Carroccio che, approdato a Palazzo Chigi, è stato seguito ovunque dalla giornalista diventata, man mano, la sua ombra, come l’uomo Folonari del Carosello italiano. Maria Antonietta è stata capace addirittura di sottrarre il suo Capitano dalle domande scomode su Savoini fatte da un collega di Repubblica a margine di un evento. E la sua devozione non è cambiata neppure quando le sorti di Salvini si sono arenate per colpa dei mojiti del Papeete. La Spadorcia non tradisce l’amicizia solo perché uno non è più ministro, la fedeltà ai forti è il suo vessillo, che l’ha portata da normali servizi parlamentari alla conduzione del Tg. Il suo sogno era andare in video ma la diretta di ieri è forse la pietra tombale sulla sua carriera. Per lei si potrebbe istituire il Pulitzer delle fake news, magari targato Lercio, perché la bufala che ha dato in anteprima assoluta davanti a milioni di italiani non ha eguali nella storia del giornalismo. “Colpo di scena (sì, una scena pietosa, ndr)”, dice la Spadorcia collegata con lo studio dalla sala dei Postergali di Palazzo Madama. “È proprio di ora il risultato, non è passata l'autorizzazione a procedere”, continua sfoderando una felicità da vincita al Superenalotto. "Sembrava un voto scontato, visto anche il sì di Iv. E invece no”, sottolinea la giornalista vestita di verde, “ci sono stati 141 voti favorevoli ma 149 no. Quindi Salvini non andrà a processo. Questo è davvero un colpo di scena perché tutta la maggioranza era compatta per dire che non c'era interesse generale". In effetti si stupisce anche lei, perché tutti sapevano che il voto era scontato ma quando la realtà supera la fantasia di una mente poco cronista e molto, anzi troppo, tifosa ultras da curva tutto può succedere. Il servizio si chiude con: “Ma il centrodestra compatto ha detto no: Salvini ha fatto l'interesse generale”. Quando poco dopo il presidente del Senato Elisabetta Casellati ha dato il risultato ufficiale della votazione, che invece ha dato l’autorizzazione a processare Salvini, è caduto il gelo sul Tg2, che ha dovuto fare una nota di scuse ammettendo il grave errore. Eppure neanche una parola sulla totale mancanza di imparzialità di una giornalista del servizio pubblico, incapace di tenere il rigore delle notizie consono al ruolo di un dipendente della Rai. Forse peggio dell’errore madornale in sé è stata la carica emotiva leghista con cui la Spadorcia ha assolto il suo Capitano e dimostrato a milioni di telespettatori che l’appartenenza politica è più importante del tesserino da giornalista. È più questa enfasi elettorale che gli utenti non le perdonano, tanto che sulla pagina Facebook della Spadorcia non si ferma la valanga di critiche e insulti di contribuenti adirati nel dover pagare il canone per guardare questi scempi. I più scalmanati chiedono addirittura il licenziamento in tronco e il risarcimento, quelli più gentili le consigliano di trasferirsi al Tg4. Ma nella Rai dove tutto è possibile, dove Foa continua ad aggirarsi come uno spettro nonostante dovesse già andare a casa, dove Salvini ha imbarcato una cammellata di esterni con la casacca verde, il massimo che la giornalista riceverà sarà una tirata d’orecchie dal suo direttore Gennaro Sangiuliano, perché la Spadorcia è apertamente una donna di Salvini, quindi meglio non toccarla. Questa è la Rai oggi. Ma quanto era bella l’epoca in cui esistevano i portavoce dei singoli politici e non decidevano i partiti chi mandare in onda. Quanto era bella l’epoca dei commenti in sala stampa, dove si avvicendavano portavoce, giornalisti, freelands, agenzie di stampa e radio. Quanto era bella l’epoca della libertà di informazione. Chi può dimenticare Berlusconi, che parlava direttamente a Garimberti dell’Ansa per precisare o per smentire. Da lì il nulla. Poi è arrivata l’epoca delle chat, in cui veniva scritta la frase esatta che il giornalista doveva riportare nel pezzo. Poi l’epoca in cui il capo del politico cancellava lo stand up e imponeva i sonori e l’unica libertà del giornalista era rimasta quella di decidere le faccine dei politici da inserire nel servizio. Oggi neanche più le faccine, solo i diktat dei partiti: è l’ufficio stampa il mero esecutore di volontà politiche ben precise. Ci chiediamo dove siano finite la libertà di stampa e l’autonomia del giornalista. Ormai abbiamo giornalisti di testata pubblica che fanno i portavoce dei politici, buttando così a mare la professione, riducendo i portavoce a meri passacarte o segretari. È così che ci sono giornalisti che seguono leader politici e ne diventano tifosi e questo ammazza l’autorevolezza della professione. Ma la Spadorcia in questo è stata il non plus ultra: addirittura esultare per il contrario della informazione verità.
L’osservatore della Prima Repubblica
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