Ha il volto coperto dal niqab e l'unica parola che rompe il silenzio è pentita. “Pentita di essere partita per la Siria", afferma Sonia Khediri, una ragazza di soli 21 anni che oggi è prigioniera insieme ad altre cento donne di origini arabe partite da Russia, Francia e Germania per aderire al Califfato. Stavano cercando di scappare.
Sono le spose dell'Isis. Sonia sarebbe stata addirittura moglie di Abu Hamza, emiro tunisino e numero due di Daesh, dal quale avrebbe avuto due figlie. Lei però nega.
Ha in braccio un bambino mentre parla tradendo un'inflessione inconfondibilmente veneta e trevigiana nonostante siano passati quasi tre anni da quando ha abbandonato Fonte, la cittadina in provincia di Treviso dove è cresciuta e dove si è diplomata come perito turistico.
"Daesh ama uccidere la gente, ama il sangue, ammazzano le persone senza motivo", racconta.
Conobbe un predicatore durante un viaggio in Tunisia, si lasciò convincere ad unirsi al Califfato e dopo mesi di contatti su internet fuggì in Siria per sposarlo, scoprendo al suo arrivo che era stato ucciso.
Al suo posto, secondo quanto emerso sarebbe stata costretta a sposare Abu Hamza, di circa vent'anni più grande di lei. La Procura di Venezia la definisce un foreign figher e la considera pericolosa. Chiede il suo arresto in due diverse occasioni. Il giudice per le indagini preliminari nega l'ordinanza di custodia cautelare.
"In Siria Sonia ha visto l'orrore. Ha vissuto a Raqqa, capitale dello Stato Islamico fino alla sua liberazione, dal 2015", racconta Sonia. "Prendevano le gente dalle prigioni e la uccidevano. Ho sentito di teste mozzate attaccate ai pali della luce e una volta ho visto un cadavere appeso al mercato: quando viene ucciso qualcuno, il suo corpo viene esposto per tre giorni davanti a tutti". Da quell'inferno Sonia avrebbe dunque cercato di scappare. Senza riuscirci: "Voglio tornare in Italia, aiutatemi".
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