«Siamo il paese della Colonna infame e di piazzale Loreto». La memoria calpestata e vilipesa del socialismo italiano per Stefania Craxi, parlamentare di Forza Italia e presidente della Fondazione Craxi, la si potrebbe racchiudere in questi due eventi drammatici e paradigmatici. La demonizzazione, di più l’eliminazione, dell’avversario, come modalità di lotta politica. Ed oggi nel corso del convegno che si è svolto al Senato per ricordare la figura di Gianni De Michelis ed il suo ruolo nella politica esterna, la senatrice di FI ha sottolineato con forza come De Michelis e più in generale i socialisti italiani, «che tanto hanno dato a questo paese, sono stati e sono ancora ingiustamente bistrattati».
Parlando di De Michelis il presidente emerito Napolitano ha ricordato «il suo impegno socialista e per il rinnovamento della politica italiana, segnatamente di quella estera», difendo la sua memoria dalle volgarità che sono circolate in questi giorni.
Che effetto le fa: un comunista, sia pur migliorista, che riconosce a posteriori la forza del socialismo italiano e dei suoi esponenti?
«Napolitano ha fatto un discorso importante, rendendo meriti all’opera del Psi e del riformismo socialista. Solo che si è dimenticato di dire che come sempre i comunisti non capirono nulla, né in politica interna, né in politica estera. Napolitano arriva sempre un po’ tardi nelle autocritiche. Nel 56 salutava i carri armati sovietici che entravano a Budapest, salvo poi pochi anni fa fare il mea culpa e dire che aveva ragione Giolitti che dopo l’invasione dell’Ungheria uscì dal Pci».
Che effetto le fa la caricatura che viene fatta oggi della prima Repubblica?
«Quello che mi da più fastidio è che anche chi tra i politici attuali rende onore a quel periodo, commette l’errore di pensare e sostenere che non successe nulla, che fu un momento come un altro nella storia del paese. E invece successe, altro che se successe! Abbiamo in pochi anni assistito alla distruzione di un sistema politico, alla cancellazione di partiti storici, all’ostracismo nei confronti di dirigenti socialisti, alla debolezza del Paese nello scacchiere internazionale. Il sistema dei partiti, partiti di massa nel senso più alto del termine, è stato cancellato da una furia iconoclasta di uomini nuovi che tanto nuovi non erano. Sul terreno sono rimasti organismi liquidi, senza rapporti col territorio, senza nessuna idea del Paese, senza nessuna idea di società. Manipulite è un totem cui sembra che tutti debbano rendere onore pena il pubblico ludibrio, eppure è ormai acclarato che la corruzione in Italia è più vigorosa oggi che negli anni Ottanta-Novanta. Dunque a cosa servì la furia giudiziaria che si abbatte sui partiti? A dare una mazzata formidabile alla democrazia italiana in un momento centrale della sua vicenda nazionale».
La fa imbufalire che la storia socialista venga ridotta ad una vicenda criminale?
«Mi fa tristezza. L’Italia ha vissuto una falsa rivoluzione che ha coperto con una coltre di oblio e di menzogne la storia del socialismo riformista. Quella storia gloriosa è stata relegata in cantina mentre nelle cucine della seconda Repubblica si preparavano nuove pietanze, come appunto il Partito democratico».
Un piatto mal riuscito?
«Dica lei! Piuttosto che dichiararsi socialisti, piuttosto che fare conti con i loro errori tragici, i comunisti hanno preferito accasarsi con i democristiani. Ne è venuto un soggetto che è ancora in cerca d’autore, un ircocervo che non si capisce a quale tradizione del pensiero italiano si rifaccia. Eppure la sinistra se vuol ripartire davvero deve fare i conti proprio con il Psi e con Bettino Craxi».
Ma nella mancata ricucitura di Livorno non crede che le responsabilità siano da ripartire equamente? Che, insomma, anche il Psi al dunque all’unità socialista ci rinunciò senza troppo insistere?
«Dissento. La responsabilità storica sta in capo ai comunisti. E voglio ricordare che fu grazie ai buoni uffici del leader socialista che i comunisti furono accolti nell’Internazionale socialista. Non solo. Craxi nel 92 voleva andare a votare. Non ci andò non per attaccamento al potere ma perché gli ex comunisti, in quel momento in oggettiva difficoltà, glielo chiesero quasi in ginocchio. E loro per tutta riconoscenza sono andati nelle piazze a dargli del delinquente matricolato. Vede la vergogna del Raphael è la vergogna di una modalità di fare politica che non si ferma davanti a nulla e nessuno».
Non trova paradossale che un paese sostanzialmente moderato come l’Italia sia a volte, e pure per lunghi periodi, preda di attacchi di giacobinismo?
«Questa cultura moderata non la vedo. Siano sempre il paese dei guelfi e ghibellini dello scontro tra buoni e cattivi, delle chiese contrapposte che si lanciano anatemi, dei fascisti che il giorno dopo vanno in giro con la spilletta del Cln sulla giacca. Il Psi non è arrivato mai sopra al 15 per cento perché era estraneo a questa cultura in cui a dare le carte erano da una parte il conservatorismo comunista e il moderatismo asfittico della Dc dall’altra».
De Michelis sapeva guardare lontano. In anni non sospetti previde anche il pericolo del populismo: «Riempiono il vuoto di democrazie inefficienti». E’ la fotografia perfetta e amara dell’Italia a Cinque stelle.
«I Cinque stelle sono un impasto di ideologismo di sinistra e di invidia sociale, di totalitarismo mascherato da democrazia diretta e di opportunismo, eppure già mostrano la corda, vittime della loro incapacità e di una qualsivoglia cultura economica. Gli italiani, che pure hanno i difetti di cui le parlavo prima sono anche un popolo per altri aspetti ammirevole. Uscita dalla guerra paese povero e contadino, l’Italia è riuscita – e mi piace sottolinearlo – sotto il governo Craxi a diventare la quinta potenza economica del mondo. Ecco, questa Italia migliore, che crede nella libertà e che oggi è tramortita e sommersa dalle grida scomposte degli arruffapopoli si sta svegliando. E se cerca un faro lo trova nel socialismo democratico di cui Gianni De Micheli è stato uno dei migliori, più lucidi e più genuini rappresentanti».
di Giampiero Cazzato
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