Si è sempre discusso, in termini filosofici quanto pragmatici, sul concetto di libertà e sulle sue ricadute nella vita in comunità. Tralasciando le estremizzazioni, su un punto sono tutti più o meno concordi, e cioè che è veramente libero chi agisce non condizionato da vincoli esterni quanto interni e più in generale chi, rispettando la libertà altrui, non la invade nell'esercizio della propria. Essere liberi, in termini comunicativi, significa poter effettivamente dire ed esprimere ciò che si pensa, a patto che ce ne si assuma le responsabilità. Metterci la faccia, dare un volto preciso a un'affermazione non solo ne avvalora il significato, ma, ritornando a quanto detto, è l'unico modo per agire realmente in libertà, alla luce del sole. E se nella vita di tutti i giorni questo aspetto è dato per scontato, non si può dire lo stesso della comunicazione 2.0, quella cioè sempre più alla ribalta dei social network, mezzo istantaneo di diffusione di idee e pensieri divenuto ormai imprescindibile nella vita privata quanto pubblica di una comunità. Li usano tutti, i social. Dai politici, agli artisti, al vicino di casa. Ma non tutti ci mettono la faccia e quando si trascende in toni che hanno ben poco a che fare con la diffusione delle idee, ma che sono tarati esclusivamente sull'insulto, sull'attacco a questa o quell'altra persona, si scade nella vigliaccheria più misera. Il fenomeno dei "leoni da tastiera", quelli cioè che protetti da uno schermo che li distanzia, solo apparentemente, dal resto del mondo, inforcano la loro tastiera per esprimere il peggio di sé, come se le parole scritte non avessero la stessa valenza di un insulto lanciato per strada, è una piaga informatica a cui non è ancora stato possibile trovare rimedio. I cosiddetti troll, banditi del social network per vocazione o troppo spesso per mestiere, hanno tra le mani strumenti per demolire l'immagine di qualcuno, con possibilità minime di essere rintracciati e rispondere di quanto messo in atto. In quanto strumento potentissimo, quello di internet è un "attrezzo" da maneggiare con cura e e cognizione, ma per ora siamo di fronte a un far west di Leoniana memoria. Ma qualcosa si muove, almeno dal punto di vista legislativo. Con una proposta di legge presentata in Senato, Nazario Pagano, coordinatore di Forza Italia in Abruzzo, spera di ottenere sostegno trasversale da tutte le forze politiche per contrastare i delinquenti anonimi del web. Come? Con un obbligo nei confronti degli hosting provider di richiedere, al momento della creazione di un account, un documento di identità al richiedente, così che possa essere rintracciato e riconosciuto. Pena per l'effrazione una sanzione pecuniaria dai 500 ai 10mila euro.
In esclusiva per Spraynews.it abbiamo rivolto qualche domanda al firmatario della proposta di legge Nazario Pagano.
Onorevole Pagano, come si può coniugare questa iniziativa con la necessità di mantenere inalterato il diritto alla riservatezza degli utenti? Pensiamo a Facebook che ha già avuto seri problemi nella gestione dei dati personali dei suoi iscritti.
«Tramite questo provvedimento non si altera affatto la tutela della riservatezza degli utenti. Già allo stato attuale delle cose, prendendo ad esempio Facebook, quando taluni profili vengono segnalati per stranezze o irregolarità, l'hosting provider richiede un documento di identità al titolare dell'account e può arrivare anche a chiudere tale profilo. Chiusure di account, temporanee o definitive, vengono messe in atto anche senza segnalazioni se ci sono violazioni appurate dall'organizzazione interna a Facebook. Si tratta solo di fornire dati personali che rimarrebbero segreti e a disposizione soltanto in casi di necessità, niente verrebbe reso pubblico. Questo per Facebook così come per qualsiasi altro hosting provider.»
Cosa risponde invece a chi pensa che un provvedimento simile possa coincidere con una limitazione della libertà di espressione costituzionalmente garantita?
«Rispondo che non è così per un motivo; il diritto ad esprimersi liberamente non verrebbe in alcun modo violato. In caso di approvazione di questa legge ognuno potrà continuare ad esprimere ciò che pensa, semplicemente qualora il titolare del profilo dovesse violare la legge, diffamare qualcuno che diverrebbe così parte lesa, sarebbe possibile rintracciarlo e in caso di denuncia alla polizia postale si potrebbe procedere nelle sedi opportune. Nessun profilo, anche sotto nickname o pseudonimo, verrebbe reso impossibile da utilizzare, ma diverrebbe obbligatorio presentare un documento di identità per renderlo riconducibile ad un individuo.»
L'approvazione di una legge simile potrebbe contrastare soprattutto il fenomeno sempre più diffuso della diffamazione di personaggi pubblici tramite i profili fake?
«Questa è un'altra delle motivazioni portanti della necessità di un provvedimento analogo. Tali profili fake, così come i cosiddetti troll della rete, sono sempre più spesso architettati ad hoc in una strategia di demolizione dell'immagine di una figura pubblica o politica. E questo non è un pensiero personale, esiste già della letteratura a riguardo. Un soggetto che si ritrovi attaccato in un simile vortice e a cui vengano attribuite senza scrupoli le peggiori nefandezze possibili, come può difendersi? E che ne è della sua reputazione? Per giunta non parliamo solamente della lesione dell'immagine di chi fa magari attività politica. Spesso parliamo di gravissime diffamazioni che passano del tutto impunite. Con questa legge si avrebbe qualche tutela maggiore, senza contare che così come la libertà di espressione è garantita dall'articolo 21 della Costituzione, altrettanto lo è il diritto alla difesa nell'articolo 24. In caso di lesione di un diritto, ho tutte le ragioni di difendermi e ottenere una giusta difesa, ma allo stato attuale dei fatti nella rete ciò non è praticamente mai possibile. Per nostra fortuna non viviamo in una dittatura, in cui l'anonimato è necessario per potersi esprimere liberamente senza dover temere ripercussioni sulla propria persona o libertà. Chi utilizza questo metodo in democrazia lo fa per colpire vigliaccamente e impunemente.»
Quali possono essere le difficoltà nell'interfacciarsi con hosting providers che abbiano sedi in Paesi extra Ue o che non vogliano ottemperare a una normativa che avrebbe comunque portata nazionale?
«I grandi gruppi facenti capo a aziende come Facebook o Twitter hanno delle sedi periferiche in ciascun Paese, tra cui l'Italia. Siamo certamente in un campo ancora lacunoso e non esaustivo da un punto di vista regolamentare, ma questa rappresenterebbe comunque una svolta in tal senso. Già il Parlamento europeo ha iniziato un procedimento di aggiornamento delle normative in tema di trattamento dei dati personali da parte degli hosting providers e la Germania ha già disposto una normativa chiara e un sistema di difesa per tutelare gli utenti colpiti da questa pratica selvaggia della diffamazione. Nella conferenza di presentazione del provvedimento abbiamo già ottenuto pareri favorevoli e non soltanto da personalità che abbiano assunto impegni politici o di pubblica rilevanza. Tutti hanno diritto a tutelare la propria immagine e reputazione.»
di Alessandro Leproux
Comments