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Stretto a Trump, vicino a Putin: il "miracolo" di Conte al G7.



Non c'é che dire. Quasi una favola quella vissuta dal "cenerentolo" Giuseppe Conte al tumultuoso G7 in quel del Quebec canadese. Un pò, la proverbiale "fortuna del principiante". Un pò, una naturale capacità nel dimostrarsi affabile e - anche in virtù di una certa dimestichezza con le lingue straniere - nel dialogare senza complessi con ben più esperti e navigati pezzi da novanta. E il professore-avvocato-neopremier (ex "signor nessuno") è riuscito nel "miracolo" di conciliare gli opposti senza spiacere ad alcuno. Passando indenne - o quasi - attraverso le 'forche caudine' di una sospettosa curiosità, grazie a una discreta dose di equilibrismo e a un'attitudine a stemperare certi passaggi - alquanto ostici - del contratto di governo gialloverde, senza tuttavia rimangiarsene i "fondamentali". È nata a sorpresa una 'star'? Non esageriamo... Ma l'Italia può tutto sommato tirare un sospiro di sollievo: dal pacato esordiente statista 'pescato' nel mazzo da Di Maio e Salvini non c'è da temere figuracce o cadute di stile. È uno che se la cava, che sa giostrarsi, che scansa lo scontro. Un uomo di mondo. Da qui a giurare sull'efficacia e la profondità del suo operare, tuttavia, ce ne corre. Prendiamo il caso più spinoso, il tradizionale rapporto strategico con gli States e l' "attrazione fatale" per la Russia di zar Putin. Conte ha confermato la priorità dell'amicizia con l'America - tanto da guadagnarsi sul campo il subitaneo invito di Trump alla Casa Bianca - arretrando appena sul ritiro delle sanzioni anti-Mosca: non ha rinunciato all'obiettivo, lo ha diluito nel tempo. Sfruttando, e condividendo al volo, il provvidenziale 'assist' di "The Donald", che aveva decisamente rivendicato l'immediato rientro dei russi al tavolo del G7, che ridiventerebbe G8. A quel punto, che bisogno c'era di prostrarsi allo strapotere yankee, di recitare un penoso (e impraticabile) mea culpa sulla parola d'ordine del 'basta con l'embargo ai danni di Putin'? Ma, e qui siamo alle dolenti note, scivolare via senza un graffio dalla morsa dell'alternativa 'o Washington, o Mosca' ha inevitabilmente comportato una vistosa - oggettiva - presa di distanza italiana dagli alleati europei, inferociti con il presidente 'a stelle e strisce', che li ha bellamente zittiti e contraddetti dall'inizio alla fine - talvolta insultati - su tutti i dossier caldi in ballo al vertice. Conte, il novizio coccolato dal Donald furioso.



Gli altri - da 'frau' Merkel a Macron, dal padrone di casa Trudeau fino al nipponico Abe - in rivolta contro il successore di Obama. Sul rientro della Russia, appunto. Sui dazi imposti ad acciaio e alluminio. Sul nucleare iraniano. Sull'ambiente. Stretti a Trump, insomma. Vicini alla Russia. Più lontani dall' Europa dell'asse Parigi-Berlino, del resto tutt'altro che amata dall'esecutivo del "cambiamento". E la mina vagante dell'immigrazione allargherà ancora il solco. 

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