Juventus-Milan si giocherà il 16 gennaio a Gedda, in Arabia Saudita. E si giocheranno allo stadio King Abdullah Sports City anche altre due edizioni della Supercoppa italiana. E questo nonostante le urla di protesta arrivino al cielo da giorni, ormai, per la discriminazione contro le donne che da sempre vige nel Paese della Mecca.
Il fatto è che quando a giugno scorso avvenne la scelta tra le quattro offerte pervenute alla Lega Calcio in via Rosellini, a Milano, erano in lizza Gedda, Toronto, Doha e la Cina; e quando diciamo offerte, è lecito tradurre con "denaro". Sì perché è indubbio che lo stato che ospita la città santa abbia presentato una cifra nettamente superiore alle altre concorrenti. E i club, che quest'estate si stavano ancora confrontando acerbamente sui diritti televisivi, votarono il Paese arabo all'unanimità; se a offrire di più fosse stato l'Alaska il commento sarebbe stato: "copritevi bene".
Una questione puramente di soldi, quindi, che ha bypassato completamente la questione sociale di un Paese che discrimina pesantemente il sesso femminile, mortificandolo in ogni modo. Per carità, a casa proprio ognuno fa come vuole, ma è giusto che il resto del mondo non la pensi allo stesso modo. Peccato che i mal di pancia arrivino oltre la zona Cesarini.
Si giocherà in ogni caso, quindi; ma questo non impedisce alla politica di protestare. Forte la presa di posizione del presidente della commissione di Vigilanza Rai, il senatore di Forza Italia Alberto Barachini: «Chiedo che in futuro la Rai valuti attentamente l'opportunità di trasmettere eventi che si svolgano in Paesi che violano o limitano i diritti umani fondamentali». Mentre la sua collega azzurra, la deputata Claudia Porchietto, scrive in una nota che «paese che vai non può essere sempre usanza che trovi. Il divieto alle donne italiane di sedersi solo nel settore famiglia o accanto a un uomo è vergognoso. La Supercoppa è italiana e il fatto che venga ospitata in un paese, l'Arabia Saudita, che non rispetta le donne, non può essere ammessa tale costrizione. La Lega calcio e il governo intervengano e chiedano la piena libertà a tutti i tifosi, senza distinzione, di guardarsi la partita Juventus-Milan. Questo potrebbe essere un viatico anche per cambiare le cose in territori che considerano le donne ancora un oggetto».
Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia, dalle pagine di Libero si rivolge direttamente alla Farnesina: «Visto che i vertici del nostro calcio non ci riescono, il ministero degli Esteri si assuma la responsabilità di comunicare se le donne non saranno ammesse da sole allo stadio o se invece saranno ammesse solo in un settore separato da quello degli uomini. Mi hanno riferito di un'ulteriore follia, ossia che pure le donne straniere per accedere agli spalti potrebbero dover indossare il velo al pari di quelle arabe. È una situazione vergognosa. I componenti della commissione Affari Esteri di Fratelli d'Italia stanno provando a chiedere ufficialmente alla Farnesina di far sapere ciò che le tifose italiane potranno fare o non fare in Arabia Saudita. Ricordo che parliamo di una Nazione nella quale le donne vengono lapidate per adulterio, non hanno diritto ad un equo processo e non possono sottoporsi a operazioni senza il consenso di un uomo. Non c'era bisogno di questa aberrante questione dei biglietti per rendersi conto che andare a giocare lì era assurdo, oltre che un controsenso. Chi di dovere non avrebbe dovuto neanche prendere in considerazione questa ipotesi. La nostra Federazione si mostra sempre in prima linea nella battaglia contro la violenza sulle donne, come due mesi fa quando i calciatori sono entrati in campo con un segno rosso sulla faccia, poi però si comporta diversamente».
Si muove anche la Lega nord con il senatore della Lega Toni Iwobi, vicepresidente della Commissione Affari Esteri, congiuntamente al capogruppo Emanuele Pellegrini, al segretario Manuel Vescovi ed alla senatrice Cinzia Bonfrisco: «Il gruppo Lega della commissione Affari Esteri del Senato ha intenzione di convocare urgentemente in audizione il presidente della Lega Serie A Gaetano Miccichè per fare chiarezza sulla delicata questione della suddivisione dei posti a sedere presso il King Abdullah Sports City Stadium di Gedda, in Arabia Saudita, in vista della partita di Supercoppa italiana Juventus – Milan che si terrà il 16 gennaio. È inaccettabile che i diritti delle donne, e in generale i diritti umani, possano essere sacrificati e venduti per esportare in Arabia Saudita il calcio italiano: il ruolo sociale dello sport, per essere tale, non deve trascurare mai l'uguaglianza e la pari dignità di tutti esseri umani. Non è una questione di politica, ma di umanità».
Comunque, come riporta il Corsera, l'intermediario nell'organizzazione dell'evento, Romy Gai, presidente di Awe Sport International vede il bicchiere mezzo pieno: «Un anno fa le donne non potevano entrare nello stadio; ora sì, anche da sole e non necessariamente accompagnate da uomini».
Verrebbe da rispondere "ariconsolamose con l'ajetto", tipico detto romano che si può sintetizzare con un'alzata di spalle. Anche se è indubbio che il Paese saudita è in piena trasformazione: è dal 24 giugno che le donne, in Arabia Saudita, possono mettersi alla guida; mentre da gennaio scorso possono entrare allo stadio, anche se accompagnate e in settori riservati alle famiglie. È una vita veramente difficile quella delle donne, che non possono mai interagire con uomini che non siano loro parenti né andare all'estero senza permesso. Persino in ascensore non c'è mai una situazione mista: se a un piano intermedio sale un uomo, la donna scende e aspetta che l'ascensore torni vuoto.
di Paolo dal Dosso
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