Non solo M5S e Lega, anche FI e FdI votano la riforma
“Ho bisogno di vederli con i miei occhi, i tacchini che festeggiano il Natale…” ridacchia un senatore di lungo corso. Certo che, se mai succedesse, sarebbe una svolta – politica, oltre che costituzionale – di carattere epocale. Cosa succede? Semplice, o anzi no, è assai complicato. Ma partiamo dalla notizia, poi cerchiamo di capire perché. Ieri mattina il Senato ha approvato il disegno di legge, voluto dalla maggioranza di governo e presentato dal ministro alle Riforme istituzionali, Riccardo Fraccaro, che propone una riforma costituzionale per tagliare il numero dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200). I sì sono stati 185, i no 54, gli astenuti 4. Il testo passa ora alla Camera. In favore del ddl costituzionale (che abbisogna, cioè, di una doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento e che, se non viene approvato con i due terzi dei voti nelle Camere, può essere sottoposto a referendum costituzionale popolare) hanno votato M5S e Lega, che avevano presentato il testo, ma anche Forza Italia e FdI, che hanno definito la loro scelta “un’apertura di credito” alla maggioranza sulle riforme. Dopo, però, vi saranno diversi passaggi successivi, come vedremo più avanti, analizzando il tipo di riforma.
Solo Pd e LeU votano contro. Una scelta ‘impopolare’
Contrari al ddl Fraccaro si sono espressi Pd, Leu e il gruppo delle Autonomie. I democratici avevano presentato un emendamento che legava il taglio dei parlamentari alla trasformazione del Senato in una Camera delle Autonomie, ma la proposta è stata dichiarata inammissibile dalla presidente Elisabetta Casellati. Di qui discende il loro no. Una scelta, quella del Pd, per nulla ‘popolare’ e che rischia di alienare al centrosinistra i consensi della maggioranza del Paese dove, a torto o a ragione, il tema della lotta alla “Casta” continua a imperversare. Dario Parrini, renziano e capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali, ha spiegato che il suo partito si oppone “a un disegno antiparlamentare” perché “la riduzione del numero dei parlamentari andava collocato all’interno di una riforma seria che perlomeno porti al superamento delle due anomalie più gravi del sistema parlamentare italiano: ci sono due Camere che fanno le stesse cose e siamo l’unico Paese al mondo in cui un ramo del Parlamento non usa il suffragio universale per essere eletto”. Esultano, invece, ovviamente, in casa 5Stelle. “Evviva! approvato il taglia-poltrone in Senato! Presto ci saranno 345 parlamentari e un risparmio di mezzo miliardo di euro a legislatura. Dicevano: impossibile! e invece se lo diciamo lo facciamo! Festeggiamo insieme!” scrive su Facebook Luigi Di Maio.
Cosa ‘non’ prevede la riforma costituzionale Fraccaro
L’appunto critico di Parrini riguarda il fatto che la riforma non tocca affatto le funzioni delle due Camere (resta pienamente in vigore, cioè, il “bicameralismo perfetto”) e che non viene parificato neppure il diverso – e assurdo, ormai – elettorato passivo e attivo delle due Camere: continueranno a servire 18 anni per essere elettori e 25 anni per essere eletti alla Camera dei Deputati e 25 anni per essere elettori e 40 per essere eletti al Senato della Repubblica. Il che, in effetti, è un non-sense, anche perché non si capisce perché due Camere, pur ridotte di numero, debbano continuare a essere votate in modo difforme, ma continueranno a svolgere gli stessi, identici, compiti.
La riforma non prevede neanche il taglio agli stipendi degli eletti, come chiedevano – e chiedono - i Cinque Stelle, che sarà avanzata in un’altra proposta di legge, proposta su cui, però, la Lega ha già posto il veto. Il taglio dei parlamentari faceva già parte del referendum Boschi-Renzi e prevedeva di ridurre il numero dei Senatori da 315 a 100 , eletti dalle Regioni, lasciando quindi inalterato il numero di deputati. Trattandosi di una riforma costituzionale il disegno di legge richiederà una doppia lettura conforme delle due Camere. Le leggi di revisione della Costituzione - recita infatti l’articolo 138 della Costituzione - e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Si evita il referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. Insomma, di tempo ancora ce ne vuole, prima che la riforma costituzionale a firma Fraccaro venga approvata. E molte cose possono succedere. Se il governo cadesse, per dire, difficilmente ci sarebbe più una maggioranza che riesca a votare, a maggioranza assoluta, per le riforme. Infine, la fine anticipata della legislatura manderebbe, per ovvie ragioni, a monte ogni velleità di riforma istituzionale. Una cosa, però, è certa. Se mai il ddl Fraccaro arriverà ‘a dama’ e si tenesse un referendum popolare su questo tema, è assai facile prevedere che i ‘sì’ batterebbero i ‘no’: il tema della lotta alla ‘Casta’ è ancora molto forte, nel Paese.
di Ettore Maria Colombo
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