Signorile, il suo ex collega di partito e amico Fabrizio Cicchitto ha organizzato un convegno, in programma domani a Roma, che ha per titolo “A trenta anni da “Tangentopoli” e da “Mafiopoli”. Condivide l’intitolazione del convegno?
La condivido e la considero giusta, perché in qualche modo ci sono stati degli intrecci. La vicenda di Tangentopoli ha un suo nodo iniziale a Palermo, dove viene spostato Gian Carlo Caselli e dove l’ipotesi di un coinvolgimento di figure politiche rilevanti assume una sua concretezza con Giulio Andreotti, ma già prima c’era stato il tentativo di coinvolgere Occhetto e Craxi con l’accostamento a Bagarella. C’è sicuramente un momento, in cui Mafiopoli e Tangentopoli, se non si intrecciano, almeno si inseguono. Poi, da Palermo si sale a Milano, con l’arresto di Mario Chiesa.
La vera Tangentopoli, però, sarebbe cominciata e, soprattutto, organizzata più tardi...
E’ proprio così. Dopo l’arresto di Chiesa, passano sei mesi, durante i quali non succede niente. In quei sei mesi viene preparato lo schema di Tangentopoli, che non era stato, come comunemente si crede, già tutto preordinato. Viene ordinato e organizzato, dopo che in quei sei mesi si sono verificate le possibilità di sviluppo della filiera milanese. La filiera iniziale era stata, senza ombra di dubbio, a Palermo. Ecco perché accostare Tangentopoli a Mafiopoli ha un senso.
Lei non è stato travolto e neppure coinvolto, se non marginalmente, dall’onda travolgente di Tangentopoli. Tuttavia, presumo, che rappresentò, comunque, lo stravolgimento di quella che era stata la sua vita sino ad allora…
Ha stravolto tutti i tuoi riferimenti. Ti sei trovato, da un certo momento in poi, in un contesto, che non rispondeva più alla logica della politica, ma a quella di “guardie e ladri”. Però, una cosa la voglio dire...
Qualcosa che esce fuori dal coro unanime?
Io penso che non stata determinante l’ondata anomala di una magistratura organizzatasi per zittire la politica e i partiti. La magistratura ci ha messo il carico da undici, ma l’elemento, che determina il crollo, è l’incapacità del sistema dei partiti di misurarsi con quanto di sconvolgente e nuovo stava accadendo a livello europeo e mondiale, che rendeva il sistema politico italiano desueto e impercorribile. Un sistema, che hanno riproposto i post comunisti con la scelta non socialista e che ha riproposto Craxi con Il “Caf”. Ognuno ha riproposto se stesso, non rendendosi conto che tutti fattori dell’equilibrio dominante, a partire dall’ombra di Yalta, non c’erano più. Mi sorprendo ancora che nessuno abbia mai esaminato sino in fondo gli effetti politici del referendum di Mario Segni. Senza che lo stesso Segni se ne rendesse conto, c’era in quel referendum il tentativo magari inconsapevole e, forse, anche rozzo, di dare una risposta a una prospettiva, che non era più la stessa. Tutto il sistema politico italiano si reggeva su premesse, che non c’erano più. Non si sarebbe dovuto far finta di niente.
Che cosa rimane di Tangentopoli oggi?
Tangentopoli, come lei la chiama, non è finita e non è neppure cominciata nel 1992. Non dobbiamo dimenticare che, già dieci anni prima, due ministri, Mario Tanassi e Luigi Gui, erano stati messi sotto accusa in Parlamento. Certo, nulla prima del 1992 aveva assunto la stessa valenza politica. Concordo anche con Paolo Cirino Pomicino, quando sostiene che ci fu un accordo per costruire uno schieramento nuovo, che togliesse di mezzo democristiani e socialisti e riducesse ai minimi termini il Partito Comunista, per restituire laicamente il comando ai poteri forti. Questo è, senza alcun dubbio, avvenuto, sulla base di un rapporto perverso fra la componente mediatica e quella giudiziaria, che ha dominato le vicende di quegli anni.
I partiti rimasero a guardare la luna, nonostante l’eclissi?
Sì. Nulla di quello che accadde sarebbe accaduto, senza il crollo valoriale, strategico e identitario dei partiti. La magistratura ha fatto un lavoro improprio, ma il sistema politico si è fatto male da solo.
di Antonello Sette
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