Tradimento. Nel giorno della protesta contro la realizzazione del gasdotto a San Foca di Melendugno, vicino Lecce, si bruciano le bandiere pentastellate; l'accusa è pesante, di quelle che mettono all'indice un Movimento, e per sempre. Specie in una terra che ha eletto 42 parlamentari su 62, la Puglia. Che poi è la casa da cui vengono il premier Giuseppe Conte e il suo portavoce plenipotenziario, Rocco Casalino. E allora sul recente via libera alla Trans-Adriatic Pipeline dato proprio dal Presidente del Consiglio si scatena uno tsunami di accuse, controaccuse e difese a oltranza tutte interne al Movimento 5 Stelle. E fa parlare di voltafaccia e delusione devastante il governatore pugliese Michele Emiliano, che da molto strizza l'occhio alle posizioni grilline, tanto che in un post accumuna i 5 Stelle al suo partito, il Pd. Le penali: tre deputati 5 Stelle, Cunial, Ciampolillo e De Bonis, hanno contestato al premier Conte l'inesistenza delle penali che renderebbero impossibile sfilarsi dal progetto del gasdotto. «Nel trattato trilaterale tra Italia, Albania e Grecia le penali sono subordinate agli HGA, Host Government Agreement, che l'Italia non ha firmato», scrive su Facebook Sara Cunial, che poi bacchetta duramente il Movimento: «Il problema non è solo il Salento o la Puglia, c'è in gioco il Paese e il Pianeta; la tutela della nostra sovranità territoriale, energetica e alimentare dovrebbero essere un dovere per il governo del Cambiamento». Per molto meno altri parlamentari furono espulsi dal Movimento, e l'ombra del comitato etico consiglia cautela. «Portare le istanze dei cittadini fa di me un dissidente?» si chiede il senatore pentastellato Saverio De Bonis, altro negazionista delle penali. Che aggiunge: «Su ambiente e salute pubblica non si deve retrocedere di un millimetro. È dura ma io non mollo».
Scende in campo Conte, che assume la veste del presidente-avvocato in una lettera aperta indirizzata ai cittadini di Melendugno: «Chi sostiene che lo Stato italiano non sopporterebbe alcun costo dimostra di non possedere le più elementari cognizioni giuridiche. Se il governo decidesse di venir meno agli impegni rimarrebbe esposto alle pretese risarcitorie del consorzio Tap e dei suoi azionisti per i costi di costruzione e per i mancati guadagni e delle società importatrici del gas che lo hanno già comprato a prezzi scontati. Interrompendo la Tap lo Stato italiano verrebbe coinvolto in un contenzioso lungo e perdente del costo tra i 20 e i 35 miliardi di euro». Poi Conte torna nel suo ruolo di premier: «È ingeneroso criticare e contestare i parlamentari pugliesi, che tanto impegno hanno profuso per mantenere la parola data agli elettori. Se colpa deve essere, attribuitela a me».
Artifici dialettici secondo l'ex ministro Pd dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, che lo sfida: «Se esistono carte nascoste e penali dimostralo, se parli dei costi dei risarcimenti quelli erano noti a tutti: se occorre spiegare la differenza tra risarcimento e penali hai un problema come professore prima che come premier». E in soccorso di Conte arriva dalla festa della Lega a Garbagnate Milanese il suo vicepremier Matteo Salvini, che condanna la protesta dei No Tap: «Fuoco e minacce non sono mai la soluzione, la Tap è fondamentale e uscirne costerebbe un occhio della testa».
Sceglie di intervenire anche Matteo Renzi, dalle sue e-news: «Come per Ilva, anche per Tap si va avanti. Prima ci hanno insultato, poi proseguono sulla nostra strada. E per giustificarsi col loro popolo dicono che si sarebbero 20 miliardi di penali da pagare; ma hanno sbagliato dossier, quello con le penali è il contratto di Autostrade, non la Tap».
Questo il botta e risposta ai vertici. Ma la dimostrazione sul lungomare di San Foca evidenzia la scollatura tra il Movimento e i suoi attivisti pugliesi, e tra i 5 Stelle fioccano i distinguo. In una nota otto consiglieri pentastellati alla Regione Puglia dicono che «il Movimento è l'unica forza che ha provato a fermare la Tap. I partiti che in queste ore strumentalizzano il dolore dei cittadini dovrebbero tacere». Ma le proteste più forti e le richieste di dimissioni hanno toccato il ministro per il Sud Barbara Lezzi, che reagisce con un videomessaggio: «Noi non abbiamo dato nessuna autorizzazione, non possiamo fermare una procedura già chiusa. Abbiamo chiesto aiuto a tutti i partiti, ma gli unici a dire di noi siamo stati noi. Sono stata contestata dai No Tap con cui non ho mai avuto un buon rapporto, ma con noi non hanno mai condiviso palchi o battaglie, sono proprio gli ultimi a poter chiedere le mie dimissioni».
di Paolo dal Dosso
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