“L’Italia ha bisogno di un’immunità di gregge digitale”. È l’appello di Giuliano Tavaroli, consulente per la gestione dei rischi e la sicurezza, già responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom Italia, in seguito ai recenti fatti di cronaca riguardanti la Regione Lazio.
Cosa intende con questa espressione?
“I grandi problemi che ci pone la rivoluzione digitale, anche alla luce dei futuri investimenti previsti dal Pnr, richiedono uno sforzo collettivo per superare tutti i ritardi che abbiamo a livello industriale, tecnologico, ma soprattutto culturale”.
Quanto siamo indietro rispetto agli altri Paesi?
“Siamo terribilmente indietro. Sulla questione dell’innovazione e della trasformazione digitale. Non scontiamo difficoltà specifiche del settore, ma problemi atavici del nostro Paese. Qualsiasi genere di sicurezza, infatti, si basa principalmente sul fattore umano, che ha due aspetti entrambi rilevanti. Il primo è di comportamento, quindi fattore umano inteso come vettore di rischio. I giornali, ad esempio, hanno posto in rilievo il caso di un figlio di un dipendente usato in maniera impropria al teleworking, ovvero stiamo parlando di chi non sapeva o non era sufficientemente competente per proteggersi dai rischi. Altro tema, ancora più importante, poi, è quello relativo alle competenze e alle conoscenze. Qui è dove l’Italia affonda”.
Cosa possono fare le istituzioni?
“Il tema della cybersicurity oggi in Italia è principalmente legato all’emergenza educativa. Siamo il Paese che in Europa soffre di più per l’abbandono scolastico dopo le scuole superiori, così come siamo quello che ha il minor numero di laureati, soprattutto nelle scienze tecnologiche. Non a caso si stima che mancheranno milioni di professionisti per la sicurezza digitale”.
Come risolviamo l’emergenza?
“Non lo si può fare in modo facile e immediato. È vero che spesso le risorse sono insufficienti, ma è indispensabile comprendere che la priorità deve essere un nuovo civismo digitale”.
Si riferisce, quindi, a una sorta di educazione civica nel digitale da introdurre già dai primi anni di scuola…
“È proprio questo che dobbiamo cominciare a dire. La scuola è il primo vettore su cui dobbiamo lavorare. Stesso discorso vale per famiglie e comportamenti. Non può essere, pur essendo dignitosa, la carriera del rapper o dell’influencer ciò che trasformerà il Paese. Serve agire su diversi livelli, ma essere consapevoli che solo le risorse umane a elevare il livello complessivo di sicurezza del nostro Paese. Quando parlo di ciò, mi riferisco al fatto che non possiamo più delegare i nostri problemi a un’agenzia. È una grande opportunità, ma non deve diventare un alibi o peggio ancora una deresponsabilizzazione per aziende, organizzazioni e individui”.
Con l’esecutivo Draghi c’è stato un cambio di passo rispetto ai precedenti governi?
“Il cambio di passo lo stiamo vedendo. C’è un dibattito in corso su come allocare le risorse. Adesso, però, serve capire che una parte di queste dovrà essere utilizzata per rendere i nostri sistemi digitali più sicuri. Servono, come affermavo in precedenza, più risorse perché quelle attuali purtroppo non bastano, ma soprattutto è importante investire in maniera convinta sulle competenze dei professionisti. Un recente report dice che l’Italia ha perso dal 2013 tantissimi laureati. Siamo in una vera e propria emergenza. Il problema del rimpatrio dei cervelli non può essere più sottovalutato”.
A un ragazzo che oggi si diploma che consiglio si sente di dare? Meglio investire, sin da subito, in settori che possono offrire maggiori sbocchi lavorativi?
“Innanzitutto di puntare a trovare nella rivoluzione digitale una nicchia professionale che lo possa appassionare. Rispetto agli hacker, ad esempio, scontiamo la loro ossessione. Questi ultimi fanno della curiosità nello sconfiggere i sistemi la loro ragione di vita, investendo tutto il tempo nel trovare una falla da sfruttare anche in modo criminale. Abbiamo bisogno, quindi, di due risorse che non sono solo finanziarie: l’attenzione e soprattutto il tempo dedicato al tema della sicurezza”.
Cosa ci ha insegnato, a suo parere, la vicenda della Regione Lazio?
“Si sta creando finalmente un pò di dibattito e di curiosità su questi argomenti. Sono certo, però, che è un qualcosa purtroppo di passeggero. Il caso oggi è di attualità solo perché s’intreccia con un fenomeno emotivamente carico come quello delle vaccinazioni e della lotta al Covid. Sia nel mondo che in Italia, però, ci sono stati attacchi molto più gravi e con conseguenze peggiori, che non ricevono tutta questa attenzione. Stiamo parlando di un qualocosa, però, su cui non si può e non si deve abbassare la guardia. Bisognare fare presto e prendere le giuste precauzioni sin da subito. Altrimenti, poi, non dobbiamo meravigliarci che storie come quella del Lazio diventino ordinarietà”.
Di Edoardo Sirignano
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