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Tensione tra i 5 Stelle su grandi opere e decreto sicurezza, per i dissidenti rischio espulsione


Alta velocità, gasdotto trans-adriatico, decreto sicurezza: sono solo alcune delle spine che incoronano la testa del Movimento 5 Stelle. Torino è una pentola a pressione che rischia di esplodere dopo il no alla Torino-Lione del consiglio comunale, che sospende i lavori in attesa dell'analisi costi-benefici del governo che arriverà tra fine novembre e primi di dicembre, per poi valutare se non sia meglio potenziare la linea già esistente invece di costruirne una nuova. Nella stessa mozione approvata si chiede che i fondi previsti per la Tav vengano destinati alla mobilità collettiva e sostenibile: auto elettriche e piste ciclabili

Il sindaco Chiara Appendino parte per Dubai, dove c'è il forum globale dell'industria e della finanza islamica, e per le opposizioni, che si sono fatte cacciare dall'aula per aver srotolato striscioni Sì-Tav, è gioco facile accusarla di non aver voluto metterci la faccia; e forse è proprio così visto che da ieri il numero dei suoi nemici si è arricchito di tutte le associazioni produttive della città e della regione. Il presidente della Camera di Commercio Vincenzo Ilotte dice basta, il leader degli industriali Dario Gallina pensa a una marcia dei 100 mila.

Il Movimento tira un sospiro di sollievo e Luigi Di Maio benedice: «Bene la votazione, presto io e Danilo Toninelli incontreremo Appendino per continuare a dare attuazione al programma di governo».


Intanto sotto i portici del palazzo del Comune Sì-Tav e No-Tav si fronteggiano: tante urla, tanto sfogo e nessun problema di ordine pubblico. Da una parte urlano che «La mangiatoia è finita»; «A lavorare, andate a lavorare» rispondono dall'altra.

Ma è già pronto il piano B: ammodernare la linea storica lasciando intatto il tunnel di base; e l'accordo tra Lega e 5 Stelle c'è. Quindi ridimensionamento della stazione di Susa, eliminazione della tratta Bussoleno-Torino e della relativa galleria. Difficile invece la discussione con la parte francese, che non vuole perdere il finanziamento europeo da 3 miliardi di euro e metterà sul piatto il problema del tunnel del Frejus, datato 1871 e la cui messa in sicurezza potrebbe costare oltre un miliardo e mezzo di euro.

E poi c'è il tradimento. È una parola double-face: ieri la usavano i No-Tap a San Foca di Melegnano contro il ministro del Sud Barbara Lezzi e tutti i grillini che si sono fatti eleggere promettendo di bloccare il gasdotto che viene dall'Azerbaijan, salvo poi piegarsi dignitosamente al rischio penali evocato dal premier Giuseppe Conte.


Oggi però usa la parola tradimento il vicepremier Di Maio: la maggioranza infatti è a rischio sul voto al decreto sicurezza; e allora, contro «Qualcuno che sta dando segni di cedimento» la decisione sui dissidenti è stata presa: «Se in aula votano contro una decisione del Movimento sono fuori, andranno davanti ai probiviri, per me equivale a un tradimento». Appunto. Davanti a Matteo Salvini il ministro dello Sviluppo Economico aveva minimizzato: nessun problema, sono pochi; ma la fronda interna ormai ha delle facce e dei nomi ben precisi: Elena Fattori, Paola Nugnes, Matteo Mantero, Gregorio de Falco vogliono conservare i permessi umanitari ed eliminare il giro di vite sui tempi di permanenza nei centri per i rimpatri e la revoca dello status di rifugiato. E a palazzo Madama la maggioranza poggia solo su sei senatori. La macchina però è ben rodata, di espulsione di dissidenti nella passata legislatura sono state scritte centinaia di pagine quindi cominciano a filtrare le accuse, dalle lamentele per i tagli allo stipendio alla non ricandidabilità per chi è al secondo mandato. Nugnes prova a giustificarsi: «Non siamo spingibottoni, vogliamo un confronto, bisogna rispondere agli elettori». E Fattori aggiunge colore: «Dopo tutti i compromessi ci dovrebbero rincorrere coi forconi». La frase finale è di Di Maio: «Dobbiamo restare compatti come una testuggine romana». E tanto peggio per i dissidenti.


di Paolo dal Dosso

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