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Terra dei fuochi a Latina: 23 indagati, rifiuti interrati nei campi di grano



Era la terra dei fuochi nostrana. Rifiuti interrati ne campi di grano e olivi che fermentavano e rendevano l’aria irrespirabile a pochi chilometri da Roma, nel sud del Lazio, vicino a Latina, nel territorio del Comune di Pontinia. Vapori e veleni che hanno dato il nome “Smoking fields” (Campi di fumo) all’operazione portata a galla oggi dalla Procura antimafia di Roma attraverso le indagini condotte dai carabinieri della Forestale (Nipaaf) e dagli agenti del Compartimento Lazio e Umbria, del Distaccamento di Aprilia, compreso della sezione di Latina. Bilancio dell’inchiesta: 24 indagati tra amministratori di società e soggetti coinvolti negli enti che hanno avuto un ruolo nella vicenda. E beni sequestrati per un valore totale di poco oltre un milione di euro. Cioè: tre aziende operanti nella gestione di rifiuti, due in provincia di Latina e una in quella di Roma. Poi: una discarica di proprietà di una società romana, quattro appezzamenti di terreno e 10 mezzi (tra autocarri, trattori, semirimorchi, escavatori). Inoltre, perquisizioni nelle abitazioni dei sospettati e in laboratori di analisi nelle province di Roma, Frosinone e Napoli. I reati ipotizzati: per tutti concorso in traffico illecito di rifiuti, per alcuni falso ideologico in atto pubblico nella predisposizione di certificati di analisi, abbandono di rifiuti e discarica abusiva e intralcio all’attività di vigilanza e controllo ambientale.


LA PROCURA: DICEVANO CHE ERA COMPOST, INVECE ERA IMMONDIZIA

Gli accertamenti sono iniziati nel 2014 sulla spinta delle numerose denunce presentate dai cittadini della zona. Sono proseguiti accertamenti sul posto, carotaggi del terreno, riprese video dall’alto delle operazioni di smaltimento dei rifiuti e intercettazioni telefoniche e ambientali. Le analisi effettuate dai tecnici dell’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) del Lazio hanno rilevato “il superamento di diversi parametri previsti dalla normativa di settore, inerente al corretto utilizzo di fertilizzanti e prodotti affini”. In pratica, invece di rifiuti organici trattati a regola di legge sarebbe finito sotto terra il “tal quale” del cassonetto. Dice la Dda di Roma: “In almeno 55 occasioni venivano scaricati rifiuti costituiti da compost fuori specifica e percolato di processo provenienti dalla società di Pontinia all’interno della discarica”.


GLI INVESTIGATORI: UN DANNO AMBIENTALE ENORME

"Un danno ambientale enorme”, non ha esitato a spiegare il vicequestore della Polstrada, Luciana Baron - I terreni della provincia di Latina in cui è stato interrato il finto compost, sono terreni in cui sono piantati olivi e granturco oppure sono attigui ad altre piantagioni, quindi – ha aggiunto - il rischio che tramite le falde acquifere questo materiale possa aver inquinato le coltivazioni c'è ed è reale". "Con questo sequestro - ha chiarito il pm Alberto Galanti, che ha coordinato le indagini assieme al procuratore facente funzioni di capo della Procura romana, Michele Prestipino - speriamo di restituire alla popolazione di quei luoghi una vita normale che era preclusa a causa delle esalazioni e degli odori nauseabondi che provenivano dai siti".


LA STRANA MORTE DEL PRETE E GLI AFFARI DELLA CAMORRA

Le indagini di oggi precisano che il traffico di rifiuti non sarebbe opera della criminalità organizzata ma del patto scellerato tra “criminali comuni” e amministratori senza scrupoli. Ma la storia dell’immondizia nel sud Pontino è densa di misteri. Due fra tutti, entrambi citati dalla precedente Commissione parlamentare antimafia e finiti nelle aule di giustizia. Il primo è racchiuso nelle dichiarazioni del camorrista pentito dei Casalesi, Carmine Schiavone (deceduto nel 2015). Nel 1996, ai giudici di Latina ha messo a verbale che “Borgo Montello (la discarica della città, ndr) era dei Casalesi: tra la fine degli anni 80 e gli inizi del 90 da queste parti hanno investito parecchi soldi nei terreni: sversavano quello che volevano”. E l’altro giallo riguarda la strana morte nel marzo ’95 di don Cesare Boschin: in zona si pensa finito nel mirino della camorra per le sue idee “verdi”. Nella sua relazione l’Antimafia aveva concluso: “Sarebbe auspicabile riconsiderare quelle indagini”.


di Fabio Di Chio

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