Conduce il Direttore di The Post Internazionale Giulio Gambino:
“AGRI-RECOVERY: QUALI STRUMENTI PER POTENZIARE L’EXPORT ITALIANO?”
GRANIERI: Agricoltura è stata privilegiata come codice Ateco durante il lockdown, sia come tutela delle attività lavorative del comparto, sia come tutela anche biologica delle attività e degli asset con 3,5 milioni di persone che lavorano nella filiera agroalimentare. La pandemia ha evidenziato le nostre carenze sui trasporti veloci sul territorio nazionale e altre carenze strutturali, nonostante il settore agricolo scenda solo dello 0,9 % nel suo complesso, alcune tipologie hanno presentato una perdita dal 10 al 13% (il 74% delle imprese dell’HORECA), compensata dalla crescita della GDO, che però sappiamo essere una crescita non strutturata ed episodica.
Horeca, hotel, ristoranti e catering, ha avuto cali fortissimi che ancora oggi non vedono il recupero. Abbiamo bisogno di dare forza al mercato domestico, perché abbiamo continuato ad importare fortemente mentre le nostre aziende sono rimaste bloccate alle frontiere e hanno dovuto pagare anche lo stoccaggio. Usciamo da un dato antecovid eccezionale nell’Agrifood, ma dobbiamo cavalcare quanto possibile il green new deal per esempio con incenti allo sfruttamento della risorsa acqua.
L’Abbate: Innanzitutto permettetemi un ringraziamento alla filiera completa dell’agricoltura, i produttori in primis, che hanno garantito anche la stabilità sociale con la distribuzione dei prodotti alimentari durante il lockdown. Il settore agroalimentare è importante per la bilancia commerciale italiana come dimostrano i dati dell’export, ma abbiamo bisogno di migliorare la logistica dedicata al comparto, come gli impianti di stoccaggio, il funzionamento degli aeroporti in generale e quelli con vocazione cargo, facilitare il mercato anche per le merci deperibili. In più per sostenere il settore dobbiamo superare le barriere fitosanitarie per aumentare le opportunità di esportare, tanto che è stato stanziato 1 miliardo di euro a sostegno delle attività di export.
Agricoltura dovrebbe 7,5 miliardi dal Recovery Fund che si sommano ai fondi della politica comune della TAC nel nuovo settennato con 50 miliardi in sette anni. La grande sfida è la cantierabilità dei progetti: tempi brevi impongono progetti di immediata realizzazione sulla rete idrica, sull’ammodernamento degli impianti. Abbiamo un problema di produttività e di crescita e per farlo dobbiamo migliorare il valore aggiunto delle imprese abbattendo burocrazia, favorendo la ricerca in ambito agricolo, innovazione. Abbiamo al momento la sospensione del Patto di Stabilità ma non sarà per sempre, per questo ci servono le riforme.
Le aziende del settore agricolo hanno potuto accedere in maniera diretta al fondo di garanzia; abbiamo approvato esonero contributivo per alcune imprese, abbiamo cercato di favorire la vendita dei prodotti stoccati nel settore HORECA. Ora servono investimenti.
La stragrande maggioranza delle imprese agricole sono oneste e rispettano la legge nel contrattualizzare la forza lavoro. Nel 2016 è stata approvata una legge che reprime il caporalato, ma non ha funzionato perché è mancata la parte di gestione del lavoro e dei servizi che spesso vengono offerti dai caporali. Il fenomeno non è stato debellato a causa dell’immigrazione clandestina che diventa preda dei caporali stessi. Ci manca della copertura digitale della rete internet nelle campagne.
Il Recovery Fund non è una questione del Governo, ma di tutto il Paese.
Errore:«Il mercato dell’Agrifood non è secondario: è nel dna dell’Italia e degli italiani. Il food e il fashion, nell’ambito del made in Italy, rappresentano un punto di forza nel mondo. Dobbiamo ripartire dall’Agrifood per riposizionare immediatamente il made in Italy nel mondo.
Gli italiani sono graditi nei tavoli commerciali, non esistono pregiudizi nei nostri confronti. Dobbiamo approfittare di questa buona fama che abbiamo nel commercio internazionale. Quali soni i paesi dai quali possiamo avere una spinta? Emirati, Arabia Saudita, Africa, Sudafrica, Latino America, Cile. L’agrifood può essere il grimaldello per la ripartenza.
Il presidente di SACE ha poi elencato i tre punti essenziali, e a suo avviso imprescindibili, per progettare una ripartenza: «1: migliorare la propensione delle PMI all’esportazione. Oggi solo una piccola media impresa su dieci ha propensione all’export. 2: utilizzare la digitalizzazione: oggi l’e-commerce è al 123%. Non bisogna sfruttarlo solo nell’emergenza. 3: utilizzare il Recovery Fund. Inserire il settore dell’Agrifood nel perimetro più ampio del New Green Deal, che significa anche economia circolare agricola. Bisognerebbe lavorare ad un meccanismo di policy-making. Ma questo devono farlo i politici.»
Gli strumenti di SACE nel settore dell’export
«Da quarant’anni lavoriamo nel settore dell’export con le emissioni di garanzia. Ma facciamo anche un continuo monitoraggio dei mercati, abbiamo sempre una visione aggiornata di come i mercati si muovono. Vogliamo sfatare l’idea che SACE sia esclusivamente dedicata alle large corporate. Abbiamo lavorato per avvicinare le PMI alla nostra agenzia. SACE ormai è diventato un grimaldello della politica industriale del Paese, ma è fondamentale de-romanizzarla; è fondamentale andare sui territori. Abbiamo mappato un numero importante di imprese con imprenditori di terze generazioni, digitalizzati: dobbiamo accompagnarli nell’export.
Cosa facciamo nel concreto per supportare questa cultura dell’export? Informazione e formazione. Abbiamo lanciato Education to Export: riuniamo gli imprenditori nelle sale d’Italia e indichiamo loro le opportunità di mercato. C’è poi la figura dell’export coach: abbiamo team di specialisti che spiegano agli imprenditori come posizionarsi sui nuovi mercati. Dal 2021 potremmo emettere le garanzie anche sul mercato domestico».
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