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Traditi da uno scontrino, presi i predoni dell'oro nero di Roma



È stato uno scontrino a tradire la banda dell’”oro nero”, il petrolio che diventa benzina. E’ da qui che sono partiti i carabinieri per arrivare ai presunti predoni, all’ipotetica associazione organizzata per rubare migliaia di litri dalla rete di conduttore che dalla costa di Fiumicino, sul litorale romano, arrivano sino alla Capitale rifornendo gli impianti di prodotto lavorato, aeroporto di Fiumicino compreso. I numeri dell’operazione: diciassette arresti, una decina i furti che inquirenti e investigatori contano dalla fine del 2017 a tutto il 2018 ai danni di Eni e Raffineria di Roma nelle zone di Fiumicino, Portuense e Muratella. E poi, circa settemila litri sequestrati e vendibili sul mercato nero a 0,80/0,90 centesimi al litro. I ruoli indicati nell’ordinanza di custodia cautelare di 57 pagine firmata dal gip del Tribunale di Roma Elvira Tamburelli: il capo è un imprenditore italiano titolare di una società per il trasporto di idrocarburi che forniva logistica e mezzi per i colpi, i sodali sono romeni, afghani, pakistani e un bulgaro con la doppia vita: muratori e idraulici di giorno, ladri di notte, tutti residenti nella cintura della provincia romana. E in più, qualcuno di loro si sarebbe impegnato anche in una terza occupazione, pare assai redditizia: trasportare immigrati iraniani, bengalesi, pakistani e afghani dall’entroterra balcanico alla penisola italiana in carichi di 12-13 alla volta su furgoni senza finestrini.


LO SCONTRINO IN UNA BUSTA

Il 28 dicembre 2017 succede qualcosa di particolare. La notte prima a Fiumicino, su una conduttura della Raffineria di Roma che trasforma il petrolio scaricato dalle navi nelle piattaforme in mare e lo restituisce come “jet fuel” destinato agli aerei dell’aeroporto, la vigilanza privata mette in fuga alcuni ladri che stanno manomettendo il condotto. II giorno dopo sul posto vanno i carabinieri coordinati dalla Compagnia di Ostia. A terra trovano il necessario per scavare il terreno, forare il tubo e succhiare il cherosene. Guardando in alto notano la telecamera spostata e, in basso, una busta con all’interno uno scontrino. Accertano quale supermercato lo abbia emesso e identificano un romeno che lo ha preso. Mettono sotto controllo il suo telefono cellulare e ricostruiscono la rete. Riescono a sapere con chi si è sentito, che luoghi hanno frequentato lui e i suoi complici e in quali giorni. Sembrano quelli dei furti. Durante uno di questi – il 1° dicembre 2018 – si è addirittura verificato un vasto incendio l’idrocarburo che si voleva rubare è fuoriuscito dalle condotte e ha bruciato una vasta aerea di verde, costringendo i vigili del fuoco a chiudere per qualche ora l’autostrada A12 Roma-Civitavecchia.


IL PREDONE AL TELEFONO PARLA DEL FURTO: STATE MANGIANDO, VERO?”

“State già mangiando, vero?”. E’ una delle espressioni con le quali uno della banda, che sta facendo il “palo” in strada, si rivolge ai suoi complici sperduti tra la vegetazione sul litorale romano, alle prese con le condotte da forzare. La frase è contenuta nell’ordinanza del gip Tamburelli e intercettata dai carabinieri nei mesi dell’indagine. Gli indagati non sembrano improvvisati. Sono accusati di essere stati anche sofisticati, in grado di mettere in difficoltà il sistema di allarme studiato dai tecnici Eni per entrare in funzione quando la pressione del flusso all’interno della tubatura subisce un calo.


I RIVENDITORI COMPLICI

I rivenditori complici sono l’ultimo tassello dell’inchiesta che i carabinieri di Ostia vogliono trovare per terminare il mosaico. Dove sono finite le migliaia e migliaia di litri che la banda avrebbe rubato? Magistrati e militari sospettano che dietro gli indagati di oggi si celi una rete di soggetti che hanno i registri della benzina che vendono ma possono facilmente produrre le carte di quella che acquistano. E’ l’altro capitolo del caso ancora da scrivere.


di Fabio Di Chio

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