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Trattativa Stato-mafia, Gianni: «Condannare Mori e De Donno è un'offesa per le istituzioni»




Pippo Gianni, sindaco di Priolo Gargallo, ex parlamentare, ma soprattutto noto per essere stato coinvolto in vicende giudiziarie di varia natura, ma sistematicamente assolto, interviene sulla trattativa Stato-mafia, a pochi giorni dalla sentenza di Appello, per il generale Mori e il capitale De Donno, ritenendo come «sia abbastanza pesante e violenta la richiesta da parte del Tribunale di 12 e 8 anni».


Trattativa Stato-mafia, il generale Mori rischia 12 anni di carcere, mentre il capitano De Donno 8. Che idea si è fatto a riguardo?


«Stiamo parlando di persone dello Stato. Non so se hanno agito o no in rapporto diretto con i ministri competenti o con tutti gli altri, ma certamente per quello che so il generale Mori e il capitano De Donno non andrebbero condannati».


Allo stesso tempo, però, Brusca, collaboratore di Riina è in libertà. Non le sembra un controsenso?


«Purtroppo la legge l’ha fatta Falcone, anche se questo Brusca è un delinquente. Non andrebbe messo non in galera, ma in qualche sotterraneo. A parte i tanti delitti, quello del bambino è stato davvero qualcosa di ignobile. Un bambino non può essere chiuso per due anni, maltrattato, strangolato e ucciso. Stiamo parlando di chi non dovrebbe più circolare. La legge di Falcone, pur essendo molto importante, oggi andrebbe rivista. Alcune cose non possono essere sottaciute e bisognerebbe fare un controllo generale di tutte le dichiarazioni, considerando che spesso ci sono alcune dichiarazioni fasulle che insieme a quelle vere poi fanno diventare tutto vero».


Secondo lei parti di quella vicenda vengono oscurate nell’attuale narrazione?


«Non so cosa sia questa trattativa, se il fatto di parlare con l’ex sindaco di Palermo, come si è svolta, a che livello, di cosa si è parlato, cosa portava e dove iniziava, ma comunque ritengo, pur non conoscendo né Mori, né De Donno, che i Carabinieri sono una delle poche istituzioni serie che abbiamo in Italia. Se hanno agito in un determinato modo, ci sarà stato un motivo. Ritengo, pertanto, che sia abbastanza pesante e violenta la richiesta da parte del Tribunale di 12 e 8 anni».


Cosa ne pensa del dibattito che è riemerso sui giornali e soprattutto su molti talk show a pochi giorni dalla sentenza di luglio?


«Se fossi il presidente del Consiglio, proibirei ai talk show di affrontare determinate questioni giudiziarie perché rappresentano una sorta di orientamento subliminale per quanto riguarda la gestione dei magistrati, che sono uomini e come tali possono essere anche influenzati e orientati dall’opinione pubblica. Se fossi un togato non terrei conto delle discussioni che avvengono in tali programmi».


Lei sicuramente è stato tra le maggiori vittime della malagiustizia in Italia. Accusato di tanti reati, ma poi risultato sempre estraneo ai fatti…


«L’ultima che mi è stata fatta è davvero ignobile. Hanno deciso sette anni fa, dopo due anni dalle elezioni, che bisognava tornare al voto perché il presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa sarebbe stato corrotto con tanti soldini e si sarebbe dovuto a tornare alle urne in sezioni dove in tanti erano emigrati, morti, insomma non c’erano più, così come non esistevano più diversi partiti e tanti erano diventati incompatibili per scendere in campo. Ovviamente anche questa sentenza è stata annullata. Ci sono troppe porcherie che non funzionano e tutte queste cose stanno venendo fuori. Le inchieste di Palamara dovrebbero essere oggetto dell’attenzione del Parlamento che mi pare invece sia abbastanza assente. L’ultima volta che ho visto Berlusconi, nel 2012, gli dissi che per molte leggi era stata sbagliata l’impostazione e c’era tanto da rivedere. Gli suggerii soprattutto di cambiare l’articolo che riguarda il Csm, introducendo il sorteggio per scegliere i componenti che lo costituiscono. Stiamo parlando di chi è stato vittima del correntismo e conosce bene i rapporti che esistenti. Considerando che è stato cambiato il titolo V della Costituzione, la richiesta non mi sembrava qualcosa di impossibile».


Quale messaggio si sente di lanciare a chi purtroppo oggi vive il suo stesso calvario?


«In primis, il governo deve mettere mano immediatamente alla riforma della giustizia. Il secondo aspetto è che i giornali e i talk show non devono mettere nome e cognome di magistrati che seguono le varie indagini, facendo così una pubblicità che fa male ai togati e a tutti gli altri. E’ fondamentale, infine, essere più attenti alla libertà delle persone. Non bisogna fare arresti preventivi e poi nessuno sconta la pena. Se tu sei preso nelle mani nel sacco vai in galera e non esci secondo la legge, ma se invece c’è una presunzione di innocenza, fino al terzo grado, annullerei anche la legge Severino. Se faccio il sindaco e mi condannano, infatti, devo essere sospeso per 18 mesi, ma se vengo assolto ho perso tempo per fare delle cose per la mia comunità. In che mondo viviamo? La Costituzione in alcuni casi mi pare sia diventata carta straccia, nessuno rispetta le leggi, ma siamo tutti figli di Napoleone. E’ necessario, quindi, che il Governo si metta al lavoro».


La riforma della ministra Cartabia è sufficiente a cambiare le cose?


«Non l’ho letta, non so di cosa tratta. Ritengo, però, la ministra una persona molto seria, preparata e profilo al di sopra delle parti. Sarebbe opportuno seguire attentamente quali siano le sue indicazioni. Se portano al Csm che viene rivisto, a partire dall’elezione dei suoi membri, ben venga. Nessuno, infatti, ha contestato Palamara per quello che ha detto, né Amara, pur essendo stato io stesso vittima di quest’ultimo. Si può pensare di andare avanti con tale sistema giudiziario?».


Cosa ne pensa del referendum proposto da Salvini e radicali?


«Abbiamo già fatto un referendum. Poi si misero d’accordo quattro amici al bar e cadde nel vuoto. La magistratura deve essere indipendente. Come mi chiese una volta un amico giudice, quando fui eletto parlamentare, serve, poi, proporre una legge per sottoporre ogni tre anni i magistrati a una visita psichiatrica. Inizialmente scherzosamente gli dissi di non farmi questa proposta, altrimenti mi avrebbero arrestato, non essendo figlio di Calamandrei. Adesso, però, mi rendo conto che un controllo anche sulla capacità di fare il giudice è indispensabile. E’ inaccettabile che una persona deve aspettare quattro, cinque o sei anni perché un togato ha da fare o ha problemi. I tempi della giustizia stanno distruggendo il Paese. Le aziende non vogliono più venire a investire qui perché hanno paura di perdersi nei meandri di una giustizia ingiusta».


Ritiene sia tutto da rivedere?


«Ci sono tanti magistrati seri, che lavorano, ma purtroppo in questo valzer di nomine spesso prevale chi è più amico, chi è più anziano o chi è iscritto a una corrente. Se c’è, al contrario, un giudice competente, anche se giovane, ritengo debba occupare una posizione di vertice. Solo così qualcosa può realmente cambiare».


Di Edoardo Sirignano

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