Sono ben quarantatré, tra dirigenti e funzionari, gli indagati di Veneto Banca che alla chiusura delle indagini risultano accusati di truffa aggravata in concorso.
La notifica è loro giunta firmata dal sostituto procuratore Sveva De Liguoro e annuncia una richiesta di rinvio a giudizio. A essere chiamati in causa sono gli stessi i vertici della banca, che nel giugno scorso era stata messa in liquidazione, ma anche alcune impiegate che nelle seguivano i piccoli risparmiatori presso le filiali dell’istituto. Capolista degli indagati è l’ex amministratore delegato, arrestato due anni fa per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, Vincenzo Consoli, insieme con il condirettore generale Mosé Fagiani, Massimo Lembo «compliance officer» dell’istituto di credito. Seguono i direttori delle agenzie di Veneto Banca di Cannobio, Cannero Riviera, Gravellona Toce, Villadossola, Druogno, Domodossola, Pieve Vergonte, Dormelletto e quelle di Verbania.
I correntisti hanno denunciato alla procura di esser stati convinti a investire i propri risparmi in azioni, o obbligazioni convertibili in azioni, emesse da Veneto Banca senza però essere stati informati del reale rischio che correvano. Poiché avevano spesso un rapporto di fiducia quasi famigliare nei confronti della banca, i clienti accettavano facilmente i consigli dei promotori e perciò era facile convincerli. In aggiunta molti erano anziani tanto che tra le raggirate sono presenti due anziane signore nate nel 1924 che certamente non potevano essere a conoscenza della “direttiva europea Mifid”, e dei contenuti dei moduli da loro sottoscritti, riportanti i profili di rischio dell’investimento? La procura ha inoltre accertato che in alcuni casi tali moduli venivano «aggiustati», facendo apparire come alcuni tra questi clienti, fossero favorevoli ad accettare quello che veniva loro proposto soltanto perché si affidavano a impiegati che conoscevano, possedevano un’elevata esperienza ed erano propensi a un alto rischio.
Le contestazioni penali interessano quindi tutta la struttura bancaria, anche se gli “ordini” giungevano dall’alto, e per alcuni anni, con il fine di racimolare più denaro possibile per tenere in piedi una banca in realtà vicina al fallimento. Giunge allora dai capi dell’Istituto bancario di Montebelluna un elenco di potenziali acquirenti dei titoli emessi da Veneto Banca basato esclusivamente sul criterio di avere una liquidità superiore ai diecimila euro. Insieme con i nominativi di questo elenco venivano stabiliti anche obiettivi quantitativi di vendita che erano seguiti giorno per giorno. Ovviamente gli incaricati alla vendita veniva rassicurato sulla bontà dei titoli venduti e che le modifiche unilaterali dei profili nei questionari Mifid erano assolutamente lecite.
DPF
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