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Truffatori si fingono 007, ma con i poliziotti



Volevano passare come agenti segreti, ma con i poliziotti veri. Sarebbe stata la truffa del secolo messa a segno da sette “uomini d’oro”. Stando alle accuse, una delle tante. Invece, è apparso un tentativo disperato di evitare quello che poi si è verificato davvero. Il settebello è destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma, Anna Maria Fattori. Due sono finiti in carcere, altrettanti ai domiciliari e gli ultimi tre con l’obbligo di firma. Sono abruzzesi, del Trentino, un calabrese e l’ultimo della provincia romana. Tra le accuse quelle di riciclaggio e anche autoriciclaggio. Si parla di auto di cui i sette sarebbero entrati in possesso con presunti raggiri. Per le quali avrebbero fornito documentazione tarocca. Cambiando i loro nomi d’identità, le targhe delle vetture e il libretto di circolazione. Denunciando furti che non ci sarebbero mai stati, ritrovamenti che non sarebbero mai avvenuti. Rivendendo le macchine che di fatto non sarebbero mai state le loro. Gabbando una banca, il Pubblico registro delle auto, due Camere di Commercio e varie società di noleggio. Il volto legale che pare i sette abbiano cercato di darsi all’esterno, mietendo un notevole giro di affari.


LA E-MAIL IN COMMISSARIATO: SONO UN AGENTE SOTTO COPERTURA

Per i “sette uomini d’oro” l’inizio della fine ha una data: 24 giugno 2018. I poliziotti del Commissariato Esposizione, all’Eur di Roma, fermano un furgone Peugeot Boxer. A bordo ci sono quattro norvegesi. Alla guida uno dei sette indagati. Agli agenti il mezzo risulta rubato pochi giorni prima in Abruzzo, ma la targa che monta è un’altra. Quindi la cosa va capita. Una volta in ufficio, il tizio che era al volante viene invitato a fornire spiegazioni. Un chiarimento tira l’altro e si arriva a coinvolgere un altro, complice del fermato. Lui – si dice - potrà spiegare. La polizia contatta il tale al telefono. E mentre si parla di targhe, macchine e società di auto a noleggio, sul computer dell’agente arriva una strana e-mail. E’ certificata: pg.procuraromagiustiziacert@pec.it. Autore vago e suggestivo: “il Cancelliere”. «Ordinava – è scritto nell’ordinanza di 23 pagine - di riconsegnare il furgone ad un nominativo fittizio, agente sotto copertura». C’erano «indagini in corso che il sequestro del mezzo avrebbe potuto compromettere». Non solo. Ricapitola il Gip: «Oltre alla mail, giungeva allo stesso una comunicazione del "Ministero dell'Interno - Dipartimento di Pubblica sicurezza - Agenzia Informazioni e sicurezza interna - Aisi", con la quale il direttore in carica (non indicato) che, richiamando il contenuto della su indicata mail, ordinava l'immediato rilascio del Peugeot di cui sopra, per essere in corso una operazione dei servizi».


IL TRIBUNALE, ARUBA E IL COMUNE DI ANZIO

I contorni della vicenda cambiano. Entrano in scena i segugi della Squadra mobile di Luigi Silipo e a poco a poco la questione si chiarisce. Vengono perquisiti uffici, verificate informazioni, accertati i veri profili dei soggetti coinvolti e rivelato il retroscena della e-mail del Cancelliere sedicente 007. E si viene a sapere. «L'indirizzo di posta elettronica certificata pg.procuraromagiustiziacert@pec.it - è spiegato nella misura cautelare - era stato acquistato presso il portale "Aruba" con la ragione sociale "procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Piazzale Clodio - Comune di Anzio", attivato attraverso l'operatore virtuale "Messagenet Spa". Fin dai primi tentativi di rintraccio agli indirizzi forniti». E l’indirizzo dichiarato dal Cancelliere in realtà era «all'interno di riserva naturale dove vi era un immobile di lusso adibito a ricevimenti».


di Fabio Di Chio

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