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Un rapporto Onu nega lo smantellamento nucleare di Kim e mette a rischio gli accordi con Trump



Che il lupo perda il pelo ma si tenga stretto in grembo il vizio non è una novità. Si sa, gli accordi, soprattutto quando sbandierati ai quattro venti davanti alle telecamere di mezzo mondo, possono comunque nascondere qualche magagna. Già all'indomani dello storico incontro a Singapore tra il dittatore nordcoreano Kim Jong Un e il presidente Usa Donald Trump, evento epocale molto utile ad entrambi i leader in politica interna (a Kim per sradicare dall'isolamento il suo Paese e a Trump per mostrarsi al mondo quale guida carismatica e in grado di gestire le trattative con un "nemico" scomodo a tutta la comunità internazionale) i più scettici e guardinghi puntavano il dito sull'accordo, piuttosto vago, di cessazione dei lavori per l'ampliamento dell'arsenale nucleare nordcoreano da smantellare progressivamente nel giro dei prossimi anni. Un agreement, almeno sulla carta, che strizzava l'occhio alla politica estera del tycoon, fatta di prese di posizione forti e spesso controverse, ma che sembrava finalmente produrre risultati concreti e soddisfacenti per tutto il carrozzone accodato dietro al faro a stelle e a strisce. E allora assumono ancor di più oggi i contorni della sceneggiata i sorrisi, le strette di mano e le conferenze congiunte dei due leader, così come suonano al limite del credibile le promesse sancite e soprattutto le intenzioni trapelate dal summit dello scorso 12 giugno.


"A pensare male del prossimo si fa peccato, ma spesso ci si indovina". Mai frase fu più adeguata per riassumere quali e quanti siano in realtà i lati oscuri degli accordi intrapresi tra Stati Uniti e Corea del Nord. A sparigliare i piani di Kim ci ha pensato infatti un rapporto commissionato dal Consiglio di Sicurezza Onu ad alcuni esperti indipendenti circa lo stato d'attuazione del piano di smantellamento dell'arsenale nucleare nordcoreano. Al contrario degli impegni presi e rimbalzati ai quattro angoli del mondo, venduti come la vittoria diplomatica del secolo da quella e quest'altra parte, la realtà emersa dalle indagini è diametralmente opposta: non solo la Corea del Nord non avrebbe smantellato i siti già presenti, ma starebbe addirittura lavorando, finora in gran segreto, alla progettazione di nuove armi di distruzione di massa, un nuovo missile balistico che farebbe detonare i rapporti tra i due opposti poli del globo. Mentre sono ancora nella mente di tutti gli interessati, le immagini dello scorso maggio in cui da Pyongyang si preparava il grande show da servire in pasto ai media occidentali, con la detonazione del sito nucleare, ai confini con la Cina, di Punggye-ri, la notizia arriva come uno scossone e riporta indietro di un anno le trattative e tutti gli sforzi degli uomini vicini a Trump, in primis il Segretario di Stato Mark Pompeo, il "portalettere" del presidente, colui che in prima persona ha guidato le trattative nelle fasi più calde. Un primo spunto di riflessione fu fornito dalla decisione americana di non sospendere le sanzioni economiche verso la Corea del Nord sin quando lo smantellamento del nucleare non fosse stato a una fase giudicata irreversibile, evidentemente anche da Washington la fiducia era elargita con il contagocce.


Come se non bastasse, oltre alla violazione dell'accordo di messa in bando dell'atomica, da Pyongyang sarebbe in corso una forte opera di contrabbando di materiali petrolifici, ferro e acciaio, i più colpiti dalle sanzioni, che avrebbero fruttato circa 14 milioni di euro dall'ottobre scorso al marzo 2018. Sarebbe inoltre stata intercettata un'opera, anch'essa illegale secondo le norme internazionali, che voleva la Corea del Nord attiva anche nella vendita di armi a Paesi già fortemente instabili per la presenza di conflitti nei loro territori. Sudan, Yemen e Libia quelli citati dal fascicolo degli esperti incaricati dall'Onu, in cui si menziona inoltre l'arrivo nei primi cinque mesi dell'anno di oltre cinquecento barili di greggio nella capitale governata dal dittatore, nonostante la richiesta, contenuta nelle sanzioni, di stop completo delle forniture di petrolio alla Corea del Nord.


Se il faccia a faccia di Singapore è sicuramente servito come primo approccio e come tentativo di stemperare tensioni giunte ai limiti del gestibile, va da sé che i risvolti reali che ne sono conseguiti non possano che far propendere per una sconfitta, sia americana che della comunità internazionale, quella che doveva essere la svolta del secolo per acquietare un conflitto, quello tra Coree, ormai decennale e favorire la ripresa del dialogo per far emergere dal buio della segregazione in cui sembra essersi auto condannato uno dei Paesi simbolo del clima sempre più pesante che certe aree del mondo ancora si trovano a fronteggiare.


Alessandro Leproux

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