«Vabbè ragazzi, ma lo sapete che io con tutte le consulenze che nella vita mi hanno offerto potrei guadagnare cinque, sei volte di più di ora? Ma non lo faccio. Finché certo non mi sono rotto i cogl…». E qui Giancarlo Giorgetti, il potente sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio, il “Richelieu padano” si lascia andare con schiettezza tutta “padana”, appunto, a una larga risata con i suoi fedelissimi che lo attorniano. Battute da clima natalizio certo, ma è pur sempre una scena che fotografa la sera di mercoledì 19 dicembre negli immensi saloni del Quirinale, per la cerimonia di auguri del presidente Sergio Mattarella, i due stati d’animo non esattamente identici di Lega e Cinque Stelle sull’esito della trattativa con Bruxelles sulla manovra e soprattutto sui suoi contenuti. Certo il reddito di cittadinanza bandiera numero uno di Luigi Di Maio esce abbastanza sforbiciato, ma anche quota 100 sulle pensioni cara alla Lega. E al Carroccio non vanno ora giù i tagli sulle pensioni cosiddette d’oro, ma che andrebbero a raffreddare anche l’adeguamento al costo della vita di quelle più basse. Ma è soprattutto tutta una certa filosofia pauperista pentastellata che alla Lega e al suo elettorato non può certo piacere. Silvio Berlusconi si dice sicuro che così la Lega perde voti e mostra ai suoi un sondaggio in cui il Carroccio sarebbe sceso al 26 per cento. Fatto sta che mentre il premier Giuseppe Conte si faceva, per dire, una sorta di giro delle “sette chiese” scappellato a destra e manca, ringraziato dallo stesso presidente Sergio Mattarella nonché omaggiato in giornata anche da Mario Monti e dal governatore di Bankitalia Vincenzo Visco per aver evitato la procedura d’infrazione, colui che secondo i maliziosi sarebbe a Palazzo Chigi il suo “contraltare” o “controllore” leghista, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti, sempre temuto e anche sospettato di chissà quali manovre dai grillini, ha scelto il basso profilo restandosene con i suoi in fondo al salone quirinalizio a brindare. Del resto, questo è da sempre lo stile del “Richelieu” padano: basso profilo, un po’ di disincanto, l’eterno atteggiamento di chi nasconde le sue potenti amicizie, compresa quella con Mario Draghi, che lui, il “professorino” bocconiano di Cazzago Brabbia (Varese), figlio di pescatori, si può permettere di chiamare semplicemente “Mario”. Probabilmente il contributo dato da Giorgetti a evitare all’Italia la procedura d’infrazione è molto di più di quello che appare. Anche se dalla scena che tenta di prendersi tutta Conte, scena un po’ rovinata dallo studiato show del Cav che ostentatamente non lo saluta, Giorgetti si tira totalmente fuori al Quirinale. Solo che poche ore dopo se ne va a Sky a dare un’intervista in cui ad un certo punto ammette chiaramente che sì quella tra Lega e Cinque Stelle “è un’alleanza complicata”. Ma Giorgetti, in piena sintonia con Matteo Salvini (sbaglia chi si ostina a pensare che i due non agiscano sempre in perfetto accordo, a volte anche con uno studiato gioco delle parti in cui la Lega è maestra dai tempi di Bossi e Maroni) ribadisce quanto già il suo leader e ministro dell’Interno aveva detto a Milano: niente ribaltoni, niente cambi di casacca. Sostiene: «Un centrodestra con 30-40 responsabili è una formula del passato, la gente non capirebbe, e punirebbe chi si rende responsabile di queste manovre di palazzo». Prosegue il sottosegretario: «Ne ho visti tanti di ribaltoni, ma dico semplicemente che gli elettori M5s e Lega capiscono le difficoltà e mantengono la fiducia in questo governo». E però significativamente aggiunge: «…Se per una serie di motivi non si riesce a rispettare il contratto, e il governo va in crisi si va a votare». Quindi certo rassicura, come ha fatto Salvini, che il governo durerà cinque anni, ma ancora una volta la parola “elezioni” torna di fatto sulla bocca del potente sottosegretario e numero due leghista. Quindi, porta sbarrata al pressing sempre più forte di Berlusconi che vede vicino l’arrivo di un nuovo governo e che ai suoi parlamentari sere fa avrebbe detto che al Senato ci sarebbero già 6 grillini pronti a cambiare casacca e altri ci sarebbero alla Camera? La linea leghista sembra chiara e così la spiegano sotto anonimato alcuni parlamentari: «Non saremo mai noi a staccare la spina…Dobbiamo trangugiare i provvedimenti grillini ora. Poi si vedrà che succede alle Europee…Ma Salvini, metteteci la pietra sopra, non sarà lui a staccare la spina». Evidente che se alle Europee la Lega surclasserà e di molto i Cinque Stelle si aprirà una obiettiva fibrillazione nella maggioranza che potrebbe entrare in crisi. E a quel punto la soluzione più naturale e più vantaggiosa certo per la Lega sarebbero le elezioni anticipate. Che qualcuno aveva dato per possibili anche prima delle Europee. Ma finora sono solo tutte congetture. I leghisti sanno bene che a decidere sarà il Capo dello Stato e loro sul Colle da sempre non si sentono esattamente amatissimi. Ma a quel punto se il voto anticipato non venisse concesso, ecco che le strade di Berlusconi e della Lega si potrebbero di nuovo rincontrare. E cioè avere un elenco preciso con i numeri per una nuova maggioranza di centrodestra e di responsabili da presentare al Colle ai piani alti del carroccio sarebbe visto anche come uno strumento per fare pressione e ottenere alla fine il voto anticipato. I leghisti però sembrano davvero voler procedere con i piedi di piombo, tanto più ora che fiutano con sospetto l’aria di un certo feeling tra il Colle e Conte, che loro non possono non vedere come fumo negli occhi. Suona un po’ maliziosa la battuta di Giorgetti il giorno dopo lo sgarbo di Berlusconi al premier indicato dai 5 Stelle: «Ah Silvio non lo ha salutato? No, non lo sapevo, non lo ho visto né al Quirinale né sul filmato. Sono giorni che ho il telefonino che non funziona. Silvio? Che simpatico! Io pero sono riuscito a salutare Berlusconi».
di Paola Sacchi
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