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"Uno sguardo sul mondo": le profezie ignorate di Craxi sul destino dell'Italia



Quegli appunti, in parte inediti, di politica estera oggi raccolti nel libro “Uno sguardo sul mondo” (Mondadori) scritti a mano nell’esilio di Hammamet, prevalentemente nelle ore notturne, “con la biro, come Pietro Nenni”, amava dire Bettino Craxi, nelle redazioni dei giornali venivano regolarmente cestinati. Craxi non doveva essere preso in considerazione, lui che latitante non era, ma rifugiato politico in base a un trattato tra Italia e Tunisia sottoscritto negli anni ’60 prima che lui diventasse segretario del Psi, era il “latitante”. Benché avesse lasciato l’Italia nel maggio del 1994 con due regolari passaporti, quello personale e quello diplomatico dell’Onu dove aveva ricoperto l’incarico di consigliere per il debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo e di consigliere speciale per la pace e lo sviluppo. Ma a lui si impresse il marchio del “latitante”. Che come tale non andava ascoltato. Insomma, lo statista che aveva dominato gli anni ’80, periodo di sviluppo e stabilità per l’Italia, come riconobbero gli Usa nei loro rapporti riservati, non doveva esistere più. Cancellato dal colpo di spugna della damnatio memoriae.

Come ricorda con sensibilità umana oltre che politica Daniele Capezzone sul suo giornale online “Atlantico”, le reazioni erano due: “Quella giustizialista-manettara-comunista che diceva: è il latitante che parla” o quella degli “ex amici: è un uomo prigioniero del rancore”. La sottoscritta, che ebbe il privilegio di incontrare Craxi e parlare a lungo con lui durante gli anni dell’esilio tra il ’96 e il finire del ’99, pochi mesi prima della sua morte il 19 gennaio 2000, non può dimenticare il senso di doloroso imbarazzo provato come italiana di fronte alla situazione di totale isolamento di uno statista. Ignorato nella migliore delle ipotesi o disonorato in patria. E ancora oggi la sottoscritta che con Craxi fece conversazioni incentrate sulla mancata unità a sinistra, contenute nel libro “I conti con Craxi” (Male Edizioni) con prefazione della stessa Stefania Craxi, non può dimenticare leggendo “Uno sguardo sul mondo”, a cura della Fondazione Craxi, con prefazione del segretario generale Nicola Carnovale, quel senso di impotenza e come di straniamento che una volta tornata in Italia, dopo gli incontri con lo statista socialista, provava rispetto all’atteggiamento che c’era nei confronti dell’ex premier e leader del Psi. Senso di inquietudine e di straniamento, come di scissione tra due realtà che cozzavano tra loro, quella al governo del “va tutto bene, madama la marchesa” e quella delle lucide e fosche previsioni dello statista socialista. Che, pur attanagliato da un indicibile dolore per la sua sorte personale e quella del suo partito, dolore che portava dentro di sé con grande dignità, ragionò lucidamente con la bussola delle sorti del suo Paese fino alla fine. Analisi e previsioni che cozzavano contro il silenzio tombale di un mondo completamente, volutamente sordo alle sue parole. Sono previsioni che la sottoscritta in parte sentì fare da Craxi in persona, il quale pur da europeista convinto diceva: “L’euro così non sarà un miracolo, l’Italia rischia di finire in miseria, terziarizzata, con le industrie di Stato svendute pezzo per pezzo. L’Italia rischia di essere declassata a Paese di serie B, C…”. Affermazioni secche, lapidarie, ma ben riflettute di fronte alle quali la sottoscritta si convinse subito che purtroppo lui avesse ragione. Erano gli anni dell’Ulivo trionfante di Romano Prodi, che Craxi descrive nel libro in prima fila nella “acritica fanfara europeista”, pur non risparmiando anche una critica all’amico di una vita Silvio Berlusconi, che lunedì 29 ottobre presenterà con Stefania Craxi “Uno sguardo sul mondo” a Milano. Ma Craxi per Berlusconi aveva sincera amicizia e affetto e con accento doloroso disse a chi scrive: “Ora con lui proveranno a usare l’arma giudiziaria…”. Il governo Berlusconi era stato deposto, con il suo ministro della Giustizia Alfredo Biondi , il quale nel libro Craxi ricorda per aver attaccato “l’abuso della carcerazione preventiva da parte del pool di Mani pulite”. Gli ex Pci-Pds-Ds ormai si sentivano loro i nuovi socialisti. E i nuovi padroni del Paese. La voce del “latitante” che latitante non era andava soppressa. Ma sul tavolo del patio della casa di Hammamet, ovvero l’ultimo ufficio che gli era rimasto, accanto alle sue personali memorie difensive, colpito come era da un mole impressionante di accuse e procedimenti giudiziari, che “neppure i più grandi malfattori hanno mai avuto”, c’erano anche quegli appunti, “memorie difensive” dell’Italia, per la quale già da allora Craxi avvertiva il rischio di diventare una “vigilata speciale”. E questo a causa della “rigidità” di certe regole, sottoscritte “come dogmi e leggi auree”, a causa di ritardi e inefficienze che lui, il protagonista del vertice europeo di Milano nel 1985 in cui forzò la mano anche con la Lady di ferro Margaret Thatcher per avviare l’Atto unico europeo, avvertiva nel processo di costruzione dell’Europa. Un’Europa accusata di ritardi anche nel rapporto con i Paesi del Mediterraneo, dove l’Italia doveva giocare un ruolo da protagonista per costruire “un’area di pace”, di raccordo tra il Nord e il Sud del mondo. Con Craxi, che già intravedeva i rischi del terrorismo dell’ “integralismo islamico”, l’Italia ebbe un peso che gli stessi Usa gli riconobbero. In un rapporto riservato dell’Ambasciata americana a Roma al Dipartimento di Stato lo chiamarono “The Craxi factor in italian foreign-policy”, ovvero “The Craxi style”, quello stile descritto “irruente e diretto che occasionalmente lo porta fuori dagli schemi, sebbene mai in maniera irrimediabile”. Gli Usa che riconoscono a Craxi la ferma adesione all’Alleanza Atlantica, il contributo dato più di altri dall’Italia alla lotta al terrorismo, riconoscono che a Sigonella fu lui decisamente il vincitore. E soprattutto sottolineano che “The Craxi factor” portò lo statista socialista a diventare “il simbolo e il portavoce di un’Italia che insiste nell’essere considerata, nel definire e realizzare i propri interessi, e di parlare per conto proprio”. “Per gli interessi degli Usa”, conclude il documento americano, “la nota di avvertimento è chiara…questa più solida Italia richiederà una considerazione più attenta”. Erano gli anni nei quali Craxi ricorda nel libro che almeno “io venivo avvisato” (in occasione di un attacco americano alla Libia ndr), “nessuno invece avvisò il governo italiano dell’attacco anglo-americano all’Irak”. Craxi nei suoi appunti tunisini mette in guardia anche dai rischi della “globalizzazione che sa di imperialismo”, al cui posto vedeva invece la collaborazione, la coesistenza pacifica tra nazioni e popoli. Ma vedeva al tempo stesso i rischi di un’Europa “dove persistono anche tra Paesi che hanno creato istituzioni ed associazioni comuni marcati nazionalismi, forti egoismi e diffusi particolarismi che hanno frenato e frenano il cammino di una Unione Europea più ampia, più evoluta, più solidale, più autorevole”. In un appunto Craxi scrisse durante un Consiglio europeo “sono ad Atene ma mi sembra di essere a Babilonia”. Queste erano le considerazioni di drammatica attualità che in Italia venivano in quegli anni regolarmente cestinate. Ma intanto la sfida che aveva lanciato da Hammamet l’ha vinta: “Io parlo e continuerò a parlare”.


di Paola Sacchi

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