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Usa, stipendi bloccati e montagne di rifiuti per lo shutdown



Aeroporti paralizzati, lunghe file agli sportelli pubblici, gli uffici delle imposte che funzionano per metà, cumuli di rifiuti agli angoli delle strade. Questa volta non si tratta di uno sciopero in casa nostra e nemmeno in uno dei Paesi europei. Il blocco, che continua ormai da 22 giorni, riguarda gli Stati Uniti. Oltre 800 mila impiegati federali sono stati messi in aspettativa o lavorano senza retribuzione, mettendo a rischio vari settori, dalla sicurezza negli aeroporti alla protezione ambientale. È lo shutdown, il più lungo nella storia americana. È una procedura prevista dall’Antideficiency Act in base al quale, senza l’approvazione di un rifinanziamento da parte del Congresso, cioè in assenza dei fondi per le spese, le attività governative non essenziali devono essere «bloccate».


Lo shutdown è scattato il 22 dicembre, quando Trump ha annunciato che non darà il via libera ai finanziamenti finché il Congresso non avrà approvato la sua richiesta di 5,7 miliardi per costruire un muro lungo il confine tra Stati Uniti e Messico. I Democratici si sono rifiutati e così le spese sono state congelate. Non è la prima volta che viene applicata la procedura dell’Antidefiency Act ma di sicuro è questo il periodo più lungo. Questa paralisi amministrativa si è verificata altre volte: nel 1980, nel 1995, nel 1996, nel 2013. Il blocco più lungo fu quello di 21 giorni, dal dicembre 1995 al gennaio 1996, durante l’amministrazione Clinton, quando il Presidente era entrato in rotta di collisione con il Congresso, controllato dal Grand Old Party (Gop) erano ai ferri corti. Sotto la presidenza di Trump tre sono gli shutdown: uno tra il 20 e il 23 gennaio, sul Daca, il provvedimento di Obama a tutela dei clandestini minorenni; un altro a febbraio, per un disaccordo sulle politiche di bilancio, ma è durato poche ore; e quello ancora in corso.


Il confronto tra Trump e i Democratici continua serrato. Il Presidente ha avuto diversi colloqui la presidente della Camera dei deputati Nancy Pelosi e il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer, ma le posizioni sono ancora distanti. Senza un accordo nel fine settimana lo shutdown entrerà nella sua quarta settimana. Non sono stati finanziati 9 dei 15 dipartimenti pubblici, tra cui agricoltura, sicurezza interna, trasporti, interni e giustizia. Le conseguenze sono pesanti L’aeroporto di Miami ha deciso la chiusura di uno dei suoi terminal per oggi, domani e lunedì in modo da avere la garanzia che i controlli di sicurezza siano adeguatamente presidiati. La maggior parte degli addetti alla sicurezza non sono stati pagati e quindi, resteranno a casa. Alcune strutture del parco nazionale sono chiuse, così come i musei Smithsonian e lo zoo nazionale di Washington. Anche la prestigiosa Nasa ha dovuto far restare a casa tutti i dipendenti, e perfino l’Internal Revenue Service, che elabora le dichiarazioni dei redditi e emette i rimborsi ha dovuto bloccare le attività anche se l’amministrazione sostiene che durante lo shutdown, i rimborsi saranno comunque pagati. Le conseguenze della paralisi sono visibili soprattutto a Washington, il cuore dell’amministrazione pubblica, dive lavora l’80% dei dipendenti federali. Da tre settimane nessuno raccoglie la spazzatura dai cestini traboccanti della National Mall, tra il Campidoglio e il Memoriale di Lincoln. I bagni pubblici sono chiusi e i giardini senza, sorveglianza. Nelle istituzioni sensibili, come i dipartimenti di Stato e della sicurezza nazionale, si continua a lavorare ma senza stipendio. Intanto l’unica certezza è che, in base ad un decreto votato da Camera e Senato, le mancate retribuzioni saranno comunque erogate alla fine dello shutdown.

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