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Valeria De Vellis: "Morazzano tragedia evitabile, urge cambiare legge, io a disposizione di Valente"


Secondo lei la tragedia a Morazzano del bambino ucciso dal padre, era qualche cosa che si poteva forse evitare esistendo già denunce precedenti?

Si poteva e si doveva evitare. Ho sempre pensato che in Italia non servisse una nuova legge, essendo già previsti gli strumenti legislativi necessari a evitare il verificarsi di casi come questo, ma ormai è evidente che è necessario un intervento del legislatore. Bisogna affermare chiaramente il principio per cui un padre (più in generale, un genitore) violento non può essere un buon padre.

Basta con la bigenitorialità a tutti i costi! Mi sembra che ci sia un equivoco di fondo: il principio che deve ispirare la decisione del giudice è l’interesse del minore. Se il genitore è violento, l'interesse del minore a essere protetto concretamente e a non subire danni alla sua integrità, fisica e psicologica, deve prevalere sulla bigenitorialità.

Non bisogna dimenticare che un genitore è un educatore: occorre chiedersi, al di là dei rischi concreti per la salute e la vita die bambini, che tipo di educazione possa dare a un figlio un padre violento. Meglio che non lo veda o che lo veda con modalità protette, alla presenza dei servizi sociali in spazi neutri. Una proposta di legge efficace non può non tenere in considerazione questi elementi.

Purtroppo invece spesso i magistrati, CTU e servizi sociali sembrano pensare che se uno è un marito violento, possa però essere comunque un buon genitore, poco importa se picchia la moglie finché non tocca il bambino direttamente.

Questo è l’altro grande equivoco: molto spesso i giudici e gli altri operatori non comprendono che se un genitore è violento verso l’altro, alla presenza del bambino, anche quella è una gravissima forma di violenza, si chiama violenza assistita.

Mi è capitato invece di leggere provvedimenti in cui un padre, riconosciuto come violento verso la madre, è stato comunque qualificato come un buon padre e ha ottenuto l’affidamento condiviso.

Ciò è assolutamente paradossale e questo paradosso deve essere riconosciuto. Ci sono studi scientifici che dimostrano che i danni psicologici causati ai minori dalla violenza assistita sono gli stessi che vengono determinati dalla violenza diretta sul minore, e si traducono spesso in disturbi del comportamento, della personalità, dell'apprendimento, anche del linguaggio.

Il legislatore quindi deve davvero intervenire. Sarei felice di mettere la mia esperienza professionale a disposizione della Senatrice Valeria Valente, Presidente della Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, le cui parole su questo caso mi hanno molto colpita.

L'Italia, nel 2013, ha ratificato la convenzione di Istanbul, un documento programmatico firmato da molte Nazioni, che prevede espressamente, nel momento in cui un giudice determini i diritti di custodia e di visita del genitore, che debbano necessariamente essere presi in considerazione gli episodi di violenza, con il fine ultimo di garantire la sicurezza dei bambini, fisica ma anche psichica.

Non è un optional, e il legislatore dovrebbe affermarlo chiaramente.

Nel caso di Morazzano ad esempio, nei confronti del padre era stata addirittura imposta una misura cautelare per fatti violenti anche gravi: questa circostanza avrebbe dovuto essere presa in considerazione, per sospendere gli incontri con padre o, quanto meno, disciplinarli con modalità protette e osservate.

A volte purtroppo però in Italia sembra che i procedimenti di separazione o divorzio e affido figli rispetto a quelli penali riguardanti le stesse persone vadano su diversi binari che mai si incontrano: quindi spesso l'affido è stabilito tramite CTU che nemmeno prendono in considerazione le denunce o procedimenti penali che possono esserci verso un genitore da parte dell'altro.

Questa situazione di fatto ormai non più sostenibile ed è il frutto di una grande impreparazione. Chi si occupa di questa materia deve avere competenze sì giuridiche, ma anche psicologiche: ecco perché sono a favore della specializzazione. Facciamo un esempio pratico: gli psichiatri riportano che la violenza segue sempre una escalation: prima è verbale, poi c’è il controllo, poi magari la violenza sugli oggetti o addirittura sugli animali domestici, per arrivare poi alla violenza sulle persone. Se non si conoscono questi meccanismi, è facile sottovalutarne i rischi, con la conseguenza del verificarsi di tragedie come quella di Morazzano e le tantissime altre di cui quotidianamente sentiamo parlare.

Anche nei quesiti che vengono posti nella nomina del CTU nel procedimento, è essenziale tenere conto degli episodi di violenza, cosa che non viene mai fatta, sempre in nome di quella bigenitorialità che, in astratto, è sicuramente il migliore interesse del minore, ma diventa finanche controproducente, quando un genitore dimostra chiaramente di essere inadeguato.

Purtroppo tante donne hanno paura di denunciare per timore di non essere credute e venire giudicate ostative, alienanti, e di perdere quindi l'affido del bambino, cosa che accade troppo spesso: cosa suggerirebbe a queste madri?

A loro dico che, invece, bisogna denunciare. La soluzione è solo quella. Quello che è certo, però, è che queste donne devono essere aiutate, in primis a livello psicologico, perché le compagne di uomini violenti, con cui hanno avuto dei figli, hanno delle enormi fragilità, che le portano spesso a ritirare le denunce per paura o per sudditanza emotiva, o addirittura per incapacità di riconoscere davvero la violenza del compagno, con tutte le sue implicazioni e conseguenze. Nei casi in cui queste mogli e madri non possano permettersi di pagare un terapeuta, è fondamentale che intervenga lo Stato. Queste donne, però, non possono fare tutto da sole: è necessario che le situazioni di violenza siano riconosciute da chi è chiamato a giudicare questi casi. E invece, cosa ancora più paradossale, capita spesso che la violenza venga scambiata per conflittualità di coppia. In tantissimi casi, vissuti in prima persona come difensore, si sono verificati episodi di violenza acclarati, con una vittima ed un carnefice chiaramente identificati, in cui il giudice ha descritto il rapporto come "un po' burrascoso" e così minimizzato le condotte, quasi a riconoscere una conflittualità bilaterale laddove, al contrario c'è soltanto un'aggressività a senso unico. Non bisogna dimenticare che, molto spesso, i carnefici sono anche abili manipolatori, che si difendono in giudizio accusando le madri di essere manipolatrici, espulsive della figura paterna, arrivando a tacciarle di attaccamento morboso nei confronti dei figli. Se questi meccanismi psicologici non vengono riconosciuti e prevenuti, il rischio è quello di assumere decisioni drasticamente sbagliate. In questi casi, quindi, oltre alla preparazione specifica, è necessario disporre subito delle consulenze psicologiche, perché solo con un'approfondita valutazione clinica questi meccanismi di mistificazione della realtà possono emergere chiaramente, consentendo a chi deve giudicare di rendersi conto di come stiano veramente le cose.

Quindi, per concludere, il legislatore quale sarebbe la modifica più urgente che dovrebbe fare alla legge, per tutelare i bambini?

L'art. 342-ter del codice civile, nella parte in cui regola le misure accessorie all'ordine di protezione, dispone semplicemente che il giudice, ove occorra, può disporre l'intervento dei servizi sociali territorialmente competenti e di un centro di mediazione familiare.

La disciplina è stata introdotta nel 2001, più di vent’anni fa, ed è arrivato il momento di correggere il tiro: non si può mediare con un genitore violento, come riconosciuto anche nella Convenzione di Istanbul, mentre oggi, in Italia, si verificano spesso dei cortocircuiti a livello giudiziario, in cui una madre che, giustamente, non vuole mediare in casi impossibili, come con un padre violento e abusante, viene addirittura considerata conflittuale. Non bisogna dimenticare che con i violenti, come con i tiranni, non si può mediare, loro non sono né capaci né disposti a farlo, se non in modalità manipolatoria.

Inoltre, la norma dovrebbe prevedere incontri esclusivamente in modalità protetta tra il genitore violento e il figlio. Non è accettabile continuare a vedere provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare che non siano accompagnati dal divieto di incontri non protetti, ma questa continua a essere la prassi dei Tribunali. Non si possono correre rischi sulla pelle dei bambini.

La situazione presenta ormai connotati emergenziali: la tutela degli interessi di un minore non può attendere i tempi del giudizio. Le denunce e le misure cautelari devono rappresentare da subito la migliore difesa per il bambino e per il genitore in pericolo.

Di Umberto Baccolo.

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