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Via Radio radicale, il manifesto, radio e tv private, la guerra dei 5S alla libertà di espressione



Immaginate un mondo in cui, la mattina presto, non ascolterete più la voce – meravigliosa, anche se da qualche tempo corrosa dal catarro – di Massimo Bordin, storica voce di Radio radicale, protagonista di mille interviste (e relativi ‘duello’) con Marco Pannella e inventore, appunto, di una trasmissione come ‘Stampa e regime’, rassegna stampa dei giornali cartacei (tutti) in cui articoli, commenti, retroscena e ‘pastoni’ di politica – e non solo di politica – vengono, più che letti, commentati e chiosati dall’autore, che di fatto li spiega, li inquadra nel giusto contesto del giorno e di fatto li viviseziona e li centellina, uno via l’altro. Immaginate un mondo in cui non potrete leggere le (splendide) prime pagine del quotidiano comunista – come orgogliosamente ancora ama definirsi - il manifesto con quei titoli sempre intelligenti e arguti (anche se non sempre azzeccati), certamente ‘di parte’, ma sempre utili per avere una visione del mondo ‘alternativa’ a quella del pensiero unico politicamente e culturalmente dominante. Immaginate un mondo in cui non potrete più leggere – o vi toccherà andare a messa o dentro la parrocchia, per trovarle, dato che forse almeno lì si troverà ancora – le analisi e i commenti di politica estera e critica sociale del quotidiano cattolico, nonché organo ufficiale della Cei, Avvenire. Immaginate un mondo in cui molte radio libere e private, piccole ma combattive, non trasmetteranno più notizie mischiate a canzoni, previsioni mixate a emozioni, perché di radio “libere, ma libere veramente”, come cantava Eugenio Finardi negli anni Settanta, non ce ne saranno più. Immaginate un mondo in cui alcune – certo, non tutte – televisioni private (magari regionali, magari locali, certo) non vi faranno più sorridere – e, forse, anche riflettere – sui guai e i problemi della vostra cittadina, della vostra regione.


Ecco, questo è il mondo che ‘immaginano’ i 5Stelle oggi al governo del Paese. Noti per – letteralmente – ‘odiare’ la stampa e i giornali, ma più in generale l’informazione (esclusa, si capisce, quella che corre nel web, ma anche qui solo quella che, da loro, viene eterodiretta e commissionata) i 5Stelle hanno deciso, da molto tempo (in questo, va detto, sono coerenti anche con le loro affermazioni pre-elettorali), che la stampa (di carta), ‘ma anche’ le radio private, ‘ma anche’ le piccole tv locali, andavano severamente punite in un rigurgito di censura e di ‘guerra’ alla libera informazione che ricorda – se ci si passa il termine – l’occhiuta censura e le leggi ‘fascistissime’ che chiusero tutti i giornali ‘liberi’ e non allineati col fascismo promulgate nel 1926 dall’allora capo del governo (non ancora regime) Benito Mussolini. Certo, la Lega di Salvini si oppone a un tale disegno ed ha anche sostenuto una serie di emendamenti contrari, dentro la manovra economica oggi all’esame del Senato e che, entro Natale, dovrà tornare alla Camera per la sua definitiva approvazione – memore, forse, la Lega, di quando aveva, come frecce al suo arco, un vero network informativo, dal quotidiano La Padania a Radio Padania e TelePadania – ma, per ora, l’M5S, su espressa volontà del vicepremier, Di Maio, e della sua longa manus sui temi dell’editoria, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Vito Crimi, sta andando avanti come un treno sui tagli all’editoria.


Infatti, con un emendamento alla manovra economica presentato in commissione Bilancio al Senato l’M5S si propone di ridurre i fondi destinati all’editoria a partire dal prossimo anno “fino alla loro abolizione” entro il 2020. Finanziamenti diretti che, lo ricordiamo, attualmente riguardano solo tre tipologie di giornali: gli organi dei partiti politici, quelli delle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche e che fanno riferimento a “enti morali”, quelli cioè rivolti alle comunità italiane all’estero. Il testo presentato al Senato, primo firmatario Stefano Patuanelli, per la Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e per l’Ordine nazionale dei giornalisti – i quali protestano, inutilmente, da settimane, se non da mesi - mette a repentaglio pluralismo, posti di lavoro e il diritto dei cittadini ad essere informati. “Avviato un regolamento dei conti con la categoria. Sosterremo tutte le iniziative a sostegno dei giornalisti e delle testate a rischio di chiusura”, avvertono sindacato e Ordine, ma il loro è un flatus voci.


In realtà, un identico emendamento era stato ritirato, sempre dall’M5S, in sede della Commissione Bilancio, ma della Camera, ai primi di dicembre, con un testo presentato dal deputato pentastellato siciliano Adriano Varrica. E così i fondi per la stampa sembravano essersi salvati dalla ‘tagliola’. Si tratta, infatti, del sostegno pubblico per cinque quotidiani - Avvenire (5,9 milioni di euro), Italia Oggi (4,8 milioni), Libero (3,7 milioni), Il manifesto (3 milioni), Il Foglio (800 mila euro) - mentre per i settimanali cattolici e le testate delle minoranze linguistiche, restavano inalterati.

Salvi sembravano essere anche i contributi alle radio private, tra cui Radio Radicale, previsti dalla legge 230 del 7 agosto 1990, che l’emendamento voleva invece abrogare. Nello specifico, l’emendamento aboliva, a partire dal 2020, il finanziamento pubblico all’editoria e modificava dal 2019 criteri ed entità dei contributi. La Commissione Bilancio aveva quindi deciso di non toccare il fondo per il pluralismo, che restava dotato di 179 milioni (bruscolini). Le opposizioni, dal Pd a FI, da sempre contrari ai tagli, esultavano mentre, di fatto, a vincere sembrava la Lega, ma lo stesso presidente della Bilancio, Claudio Borghi, non escludeva che l’emendamento potesse rispuntare al Senato. E, infatti, proprio Crimi ‘rassicurava’, creando lo sconforto nei destinatari dei tagli, che “C’è bisogno di un ulteriore approfondimento, di una rimodulazione della progressività delle riduzioni e di interventi specifici per il settore delle edicole. Il taglio dei contributi diretti ci sarà, non c’è nessun passo indietro, ma con attenzione e in maniera corretta”. Poi Crimi specificava che l’emendamento che ‘aboliva’ i tagli era dovuto solo al fatto che “Non eravamo pronti con le modifiche sulle edicole, che sono strettamente connesse ai risparmi derivanti dalla riduzione dei contributi”. La riforma dovrebbe trovare una sua riformulazione organica, infine, in un disegno di legge, per consentire – secondo Crimi – in futuro “modelli diversi di sostegno al settore” – obiettivo, del tutto ipocrita, “garantire il pluralismo”.


E dato che le promesse di Crimi sono, almeno sul punto, amare verità, l’emendamento è stato ripresentato al Senato. “Per l’annualità 2019 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 20% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro”, si legge nel testo. Per il 2020 “l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 50% della differenza tra l'importo spettante e 500 mila euro” e per il 2021 “del 75% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro”. Insomma, la mannaia è pronta a calare su tutte le testate sopramenzionate, radio e tv come i giornali. Poi, certo, “Al fine di perseguire obiettivi di valorizzazione e diffusione della cultura e del pluralismo dell’informazione, dell’innovazione tecnologica e digitale e della libertà di stampa, con uno o più decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - scrive con grande senso di ipocrisia nella sua proposta di modifica Crimi - sono individuate le modalità per il sostegno e la valorizzazione di progetti, da parte di soggetti sia pubblici che privati, finalizzati a diffondere la cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell’innovazione digitale e sociale, dell’uso dei media, nonché progetti volti a sostenere il settore della distribuzione editoriale anche avviando processi di innovazione digitale”. Traduzione: i 5Stelle con una mano tagliano – e mandano al tappeto, di fatto facendoli chiudere – giornali e testare storiche, dal manifesto a Radio radicale, dall’altro assicurano che ‘i soldi’ dello Stato arriveranno ma solo per progetti editoriali che riguardano il web e la Rete, guarda caso settore in cui opera la Casaleggio&Associati. Infine, ecco la ciliegina sulla torta: i pentastellati, non ancora satolli, nella loro orgia censoria, puntano anche ad abrogare la legge 230 del 1990 sui contributi alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale, come Radio Radicale. Morale: centinaia di posti a rischio solo tra i giornali citati, che saranno costretti, nel giro di due anni, a chiudere, e un pluralismo dell’informazione che andrebbe a farsi benedire. La voce di Bordin non gracchierà più, i titoli del manifesto non graffieranno più, altre testate chiuderanno, in compenso i 5Stelle avranno ‘liberato’ l’etere per fare i loro comodi.


di Ettore Maria Colombo

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