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Viaggio nelle elezioni europee: Pd punta al 25%, Forza Italia si gioca tutto e FdI pensa in grande



Il Pd punta al 25% ma i problemi in casa dem sono tanti

Non si può dire che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, non si stia spendendo al massimo. Gira come una trottola per l’Italia, suda e si sgola, è persino dimagrito perché mangia poco e va avanti a colpi di succhi d’arancia. Del resto, il risultato del Pd alle elezioni europee è dirimente non solo per il suo partito, ma anche per lui: si tratta, cioè, di un ‘mega-sondaggio’ sulla sua persona e la sua linea, dopo la vittoria alle primarie e il suo insediamento. Le elezioni locali in Sardegna, Abruzzo e Calabria sono andate male (nel senso che il Pd le ha perse tutte e tre), ma in quel caso può dire che si tratta di scelte pregresse alla sua gestione e che, quindi, lui personalmente non ne ha colpa. Ma alle Europee sarà diverso. Il risultato del Pd – buono sopra il 20%, molto buono vicino al 25%, ottimo se supera i 5Stelle, pessimo intorno al 20%, devastante sotto – verrà imputato a lui. Le liste sono state composte con nomi buoni, anche se non altisonanti (lo scienziato Battiston, il pm antimafia Roberti, etc.), il bilancino tra le correnti è stato rispettato al meglio (renziani, zingarettiani, orlandiani, franceschiniani, giovani turchi, etc.), il Pd si è ‘aperto’ a movimenti e partiti che se ne erano andati lontani dal Pd (Pisapia in nome di Campo progressista, Furfaro per l’area Boldrini, un paio di ex dem per Mdp – Articolo 1), ma non è riuscito ad agganciare né Più Europa né i Verdi né la Sinistra (alla sua sinistra) che si presentano tutti da soli.


Il Pd, però, sta vivendo un momento difficile. Sul fronte interno, Zingaretti è riuscito, dopo molto penare, a far dimettere la governatrice dell’Umbria, Catiuscia Marini– ma non il governatore della Calabria, Mario Oliviero a sua volta finito sotto indagine dalla magistratura. In Umbria si tornerà a votare presto (a novembre, con Emilia-Romagna e Calabria) o al più tardi nel 2020 (a marzo) e il Pd sa di rischiare di perdere un’altra roccaforte rossa. Anche la Calabria, di fatto, il Pd la dà già per persa come pure molti comuni dove si voterà il 26 maggio insieme alle Europee e il Piemonte, dove pure Chiamparino è in risalita. Come se non bastasse, ecco che – sulla scena politica – ricompare Matteo Renzi, in carne e ossa, spesso chiamato in causa dai suoi avversati (Salvini e Di Maio) come forma di insulto reciproco (“Sei come Renzi” si rinfacciano i due). In fondo non se n’era mai andato, Renzi, ma ora è tornato. Del resto, l’uomo è così: non riesce a fare Cincinnato, a star lontano dalla pugna, specie se sente “odore di sangue”. L’ex leader promette “lealtà” al nuovo segretario e poi, però, forse maliziosamente, fissa molto alta l’asticella del risultato del Pd alle Europee: “il 25%”, dice Matteo Renzi, che è molto distante dal 18,7% preso da lui alle Politiche (e, quindi, sarebbe un successone), ma anche dai sondaggi. E se il 25% non arriva? Renzi potrà sfoderare un suo classico “ecco, avete visto? Non ero io il problema del Pd…”. Insomma, ‘senza di me’ il partito non recupera, sarà – anzi, in parte già è - il mantra dei renziani, dentro e fuori il Pd. Ma se le cose precipitano l’ex-premier è d’accordo con Zingaretti: “Non esiste un piano B per il governo”. Poi conferma di “essere orgoglioso” di non aver fatto l’accordo con i 5 Stelle, dopo le elezioni, accordo che i maggiorenti (da Orlando a Franceschini) del Pd, invece, volevano.

“Se c’è la crisi di governo, dopo c’è solo il voto anticipato” avrebbe detto anche Zingaretti, a Mattarella, in un colloquio riservato, e lo stesso concetto ripete in pubblico. Nessuna tentazione di ‘inciucio’ con i 5Stelle, dunque. Almeno non in questa legislatura. I numeri, peraltro, ci sono solo sulla carta: al Senato dieci renziani basterebbero a far morire un governo Pd+M5S ancor prima di nascere. Nella prossima si vedrà, quien sabe?, ma oggi ci sono le Europee, alle porte. Ecco perché Zingaretti ha chiamato a raccolta tutto il Pd per il rush finale di una corsa che traguarda il 26 maggio e guarda alle elezioni Politiche.


Forza Italia, alle Europee, si gioca tutto

Forza Italia, alle Europee, si gioca ‘la partita della vita’. Silvio Berlusconi lo sa bene e perciò – nonostante i ben due interventi ospedalieri che ha subito in un mese – è tornato in campo più forte e convinto, oltre che spavaldo, che mai, onnipresente in tutte le trasmissioni tv possibili. Certo, c’è il coordinatore azzurro, nonché presidente dell’Europarlamento uscente, Antonio Tajani a tirare la carretta, ma tutti, nel partito, sanno che “non basta” e che “quando Silvio scende in campo è tutt’altra cosa”.

Dopo il primo crollo, quello delle Politiche (14%), Forza Italia deve almeno restare ancorata intorno al 10% dei voti perché, se scendesse sotto quella cifra, vorrebbe dire che non è più necessario – come già teorizza la Meloni e pensa Salvini – allearsi con gli azzurri per vincere le prossime elezioni politiche: insomma, nascerebbe un polo sovranista e i berluscones dovrebbero solo adeguarsi alla realtà. I segnali sono pessimi: al Nord Est sondaggi interni la danno a percentuali da brivido, FI è debole al Centro e al Nord Ovest, il partito regge, e i candidati – forti di buoni pacchetti di preferenze – anche solo al Sud e nelle Isole. Gli azzurri l’offesa della Meloni (“nascerà un polo sovranista senza FI”) non l’hanno prese bene, ma il partito resta assediato all’esterno da Lega e FdI e, all’interno, dal governatore ligure Giovanni Toti. Lo stesso Berlusconi non lo considera più “uno dei nostri” e sa bene che non aspetta altro che il crollo di FI gli dia il destro per fuggire.

Berlusconi, invece, vuole restare saldamente ancorato all’area del centrismo, sia in Europa, dove è diventato uno dei più fieri araldi del PPE (e della ex nemica Merkel), che in Italia. Tajani, a suo nome, ha stretto accordi politici tutta in questa direzione: con il Movimento popolare di Maurizio Lupi (ciellino ed ex Ncd-Ap, oltre che ministro nei governi Letta-Renzi), con l’Udc di Lorenzo Cesa, che è stato candidato, e con l’Mcl di Carlo Costalli, movimento associativo cattolico molto forte e radicato nel territorio che ha dato indicazione di votare, in massa, i candidati azzurri. Basterà? Solo il voto potrà dirlo. Certo è che il 12% sarebbe rivendicato come un successo, il 10% la tenuta, sotto il flop.


Fratelli d’Italia ora ‘pensa in grande’

Fratelli d’Italia - che fino all’altro ieri lottava e aveva come suo unico obiettivo quello di superare l’asticella del 4% - da qualche tempo ha alzato mira e pretese. Dalle parti della Meloni parlano persino di “sorpasso probabile, se non imminente”, sugli azzurri, almeno in alcune circoscrizioni, e la stessa leader di FdI ha dato un’intervista eloquente in cui parla di “polo sovranista”, composto da Lega+FdI, “senza FI” che, come in Sicilia, “fa l’inciucio con il Pd”. Con una sapiente regia nella compilazione delle liste (il bisnipote del Duce, Mussolini, come esponenti dell’area dei Conservatori italiani, legati a Raffaele Fitto) e una campagna elettorale aggressiva, oggi Fratelli d’Italia è quotata molto oltre il 4% dei voti e veleggia verso il 5-6%. La Meloni punta, appunto, a ‘sganciare’ gli azzurri dal centrodestra per ‘riagganciare’ Salvini e, al massimo, inglobare il possibile – ma ormai quasi certo – movimento di azzurri delusi dalla gestione Tajani del partito e che, guidati dal governatore ligure Giovanni Toti, potrebbero costituire loro la ‘terza gamba’ di un polo davvero ‘sovranista’ e ‘nazionalista’ che punti, alle prossime Politiche, a governare da solo, cioè senza i 5Stelle (ovviamente) ma anche senza Forza Italia. Un sogno, per ora, o un’ambizione troppo alta, forse, che solo il risultato delle urne alle europee chiarirà se è davvero realizzabile.


di Ettore Maria Colombo

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