Le Mura Aureliane, lunghe quasi 13 km., sono il più grande monumento della Roma imperiale. Nate con funzione difensiva e con una forte connotazione identitaria, nel corso dei secoli si sono integrate nella vita cittadina al punto da non essere più notate, nonostante la loro imponenza accompagni strade, scorci e orizzonti della Capitale.
Volute dall’imperatore Aureliano nel III secolo d.C. per difendere Roma dagli attacchi dei Barbari, sono lunghe circa 19 km. (scanditi ogni 30 metri da massicce torri quadrate), alte circa 6,50 metri e profonde 3,50 metri.
Il reportage di Andrea Jemolo segue la cinta muraria da Porta del Popolo, passando per Villa Dominici e dalle porte Metronia, Latina, San Sebastiano fino all’ultimo tratto visibile dal Ponte dell’Industria.
Le foto testimoniano le tecniche utilizzate per costruire o rinforzare i bastioni (dai mattoni in laterizio, al tufo, ai materiali di reimpiego in marmo) e l'intero percorso delle mura con il loro palinsesto di storie e di trasformazioni.
In ogni inquadratura Jemolo lascia che le mura solenni e solitarie diano la loro secolare testimonianza: gli stemmi pontifici sulla cinta muraria sono prova dei restauri ad opera del Papato; i ruderi inglobati da palazzi, cimiteri, cantieri, officine e vie consolari descrivono la vita della Roma attuale; gli arbusti, piante e rampicanti fra i muri scrostati mostrano il prevalere della natura sull'archeologia, mentre le immagini dello Studio Randone collocato nella Torre di Via Campania, documenta la destinazione dei torrioni agli studi d'artista tra fine ‘800 e inizi ‘900.
Le Mura Aureliane sono state protagoniste di restauri e modifiche (nel V secolo con l’imperatore Onorio e nel VI secolo in occasione della Guerra greco gotica), finchè nel 1847 papa Pio IX le consegnò all’amministrazione capitolina. Le mura funzionarono allora come cinta daziaria fino agli inizi del XX secolo per adattarsi poi al riassetto urbano con l'importante ruolo di ospitare giardini e studi d'artista.
E oggi, che la loro funzione è andata gradualmente perdendosi, “Le mura stanno ancora lì solennni e solitarie, ma il romano quasi non ci fa più caso, come se quel serpentone fosse ormai parte di un paesaggio eterno” scrive Marco Lodoli nel testo in catalogo.
di Carla Piro
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