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Xi Jinping atteso a marzo in Italia, oltre 300mila cinesi lo attendono



La visita del Presidente cinese Xi Jinping in Italia, la prima dopo la sua elezione, sarà il momento per definire i rapporti con questo Paese che rappresenta il principale sbocco per il nostro export. La data ancora non è stata definita ma dovrebbe essere presumibilmente nella seconda metà di marzo. Dall'ultima visita ufficiale di un capo di Stato cinese sono trascorsi ormai dieci anni. Era il giugno del 2009, alla guida della seconda economia al mondo c'era Hu Jintao, in Italia anche per partecipare al vertice del G8 all'Aquila, e presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. In realtà lo stesso Xi Jinping è stato in Italia alla fine del 2016 per una cena informale in Sardegna assieme all'allora premier Matteo Renzi. Ma si trattò solo di una tappa di passaggio, al rientro dal vertice sul clima a Marrakech. Quindi priva di quella ufficialità che è fondamentale per andare a fondo in varie questioni.


In preparazione di questo summit, la rivista scientifica di studi sulla Cina contemporanea della Fondazione Italia Cina, “Mondo cinese”, ha dedicato un intero numero a un’analisi approfondita sulla comunità in Italia. È una panoramica approfondita con i numeri dell’immigrazione, spesso difficili da reperire, con le decine di migliaia di imprese create ma anche della realtà della criminalità cinese con le sue bande e organizzazioni mafiose, il quadro delle associazioni presenti sul territorio italiano, il ruolo delle seconde generazioni nella nostra società e lo stato del diritto tra Italia e Cina. Vincenzo Petrone, Direttore Generale della Fondazione Italia Cina, spiega che nel nostro Paese i cinesi sono circa trecentomila, (318.975 secondo i dati dell’ultimo rapporto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali) “uno su sei fa impresa, hanno legami interfamiliari fortissimi e una straordinaria capacità di integrazione e adattamento per produrre reddito e affermarsi nella società italiana senza per questo rinunciare alle loro tradizioni”.


Quella cinese è la comunità più numerosa. Aumentano gli ingressi nel Paese per i ricongiungimenti familiari, mentre quelli per lavoro si fermano ad appena il 4%. A fronte di una continua diminuzione dell’immigrazione per motivi lavorativi, si assiste però a una crescita sostenuta della popolazione cinese residente, spinta da una vivace curva demografica, che - secondo le stime - li porterà ad essere la più ampia minoranza etnica di origine non europea in Italia entro il 2025. La piccola impresa individuale, che è sempre familiare, è il principale veicolo di inserimento economico. I cinesi sono al secondo posto nella graduatoria di questo tipo di aziende con titolare straniero. Le imprese sono 50.737 (una ogni sei residenti) e hanno un tasso di crescita del 3,4% annuo. Poco meno della metà (il 46%) è intestata a donne, un dato che non ha eguali a livello nazionale. Le titolari d’impresa cinesi sono circa un terzo di tutte le imprenditrici straniere in Italia. Il tasso di occupazione tra i nostri cinesi è del 72,5%, mentre quello di disoccupazione, pari al 4%, è quattro volte inferiore a quello medio tra i cittadini non comunitari.


Le più diffuse hanno piccolissime dimensioni. Quelle con meno di dieci dipendenti rappresentano il 92% del totale. Oltre ad alti livelli di specializzazione settoriale, il lavoro cinese in Italia è caratterizzato da un’elevata propensione all’imprenditorialità: nel gennaio 2017, poco meno di 51 mila cinesi svolgevano un’attività autonoma. Si tratta di una popolazione stabilmente inserita nel tessuto sociale ed economico italiano: la quota di permessi di lungo periodo è in rapido aumento, passando dal 39% del 2012 al 51% del 2017. Il 26% dei cittadini cinesi residenti in Italia è un minore, un dato sostanzialmente stabile fin dagli anni Novanta, che testimonia l’ampiezza storica del ricambio apportato alla popolazione dalle cosiddette “seconde generazioni”. I cinesi d’Italia tendono a lavorare, sposarsi e fare figli prima della media, nonché ad avere figli in età più giovane dei loro coetanei italiani.


Le seconde generazioni sono sempre più protagoniste della società italiana. Con un occhio però anche alla Cina, mercato diventato interessante anche per i giovani che, dopo essere nati e cresciuti in Italia, vogliono tornare nel paese dal quale proviene la propria famiglia per motivi di studio o lavoro. E magari lavorare per multinazionali italiane operanti a Pechino.

Il profilo tipico di questi nuovi cinesi d’Italia è quello di una persona giovane (25-35 anni), istruita (diploma o laurea, prerogativa che tra i residenti cinesi si limita rispettivamente al 13% e al 3% del totale), bilingue, ma spesso con una maggiore dimestichezza con la lingua e la cultura italiana che con quella dei propri genitori. E relativamente benestanti, solidamente inseriti in una piccola e media borghesia imprenditoriale. Sono giovani cresciuti, studiando e lavorando, in seno a famiglie capaci di stringersi attorno ai loro progetti di realizzazione personale anche quando vanno contro le aspettative e i desideri dei genitori.


di L.D.P.

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