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umbertobaccolo

Zelensky e gli italiani



Ora che il Presidente dell’Ucraina ha percorso pressoché tutti gli altri schermi televisivi dell’universo mondo, possiamo fare mente locale alla peculiarità del discorso che Zelensky ha rivolto ai parlamentari italiani, allorché ha ringraziato calorosamente per l’aiuto umanitario e morale, ma si è ben guardato dall’invocare esplicitamente un aiuto militare, senza neppure fare alcun riferimento a qualche tragedia para-militare del nostro passato, ma limitandosi a evocare il bombardamento di Genova del 1942; quando invece, parlando ai parlamenti di alcuni altri Paesi, ha evocato le rispettive immani tragedie (11 settembre per gli USA, il muro di Berlino per la Germania, le bombe di Hitler per UK, la Shoah per Israele, lo Tsunami per il Giappone), mentre ha quasi supplicato i suoi ascoltatori di inviargli materiale militare per difendersi, e possibilmente per contrattaccare, invocando l’introduzione di una “no fly zone” che impedisse agli arei russi di bombardare e distruggere le principali citta del suo sventurato paese.

Nell’occasione, ad ascoltarlo mancavano circa 300 parlamentari, mentre in Italia, assai più che altrove, è in corso un vivace dibattito in cui, dopo la sbronza dei virologi in TV, la fanno da padroni, parimenti coccolati da tutti i media, tanti presunti analisti geopolitici e improbabili pacifisti che, gratta gratta, si rivelano spesso imbibiti di sottaciute nostalgie post-fasciste e tardo-comuniste, concordi nel sostenere che la tragedia che l’Ucraina sta vivendo per mano del suo potente e aggressivo vicino è tutta colpa degli USA, della NATO, e comunque dell’Occidente in genere per essersi troppo allargati verso est senza neppure chiedere il permesso alla Russia di Putin.

Essendo i post-fascisti rimasti orfani del millenarismo nazista, sotterrato dalle macerie dell’ultimo conflitto mondiale, e non potendo i tardo-comunisti tifare per l’URSS, che non c’è più, a questi epigoni delle tragedie del XX secolo è rimasto solo l’odio verso le democrazie liberali e le società aperte dell’Occidente, per cui, quando non osano tifare apertamente per le bombe di Putin, provano almeno a metterlo sullo stesso piano di USA e UE, colpevoli di averlo spinto a fare quelle che sta facendo.

Il che ci ricorda che post-fascisti e post-comunisti sono sempre tra noi, quale che sia il loro attuale travestimento; mentre va salutata con rispetto e con qualche compiaciuto stupore la chiara posizione da ultimo assunta dalla leader di FdI, Giorgia Meloni, che, nonostante stia all’opposizione del Governo Draghi, ha prontamente bypassato i silenzi di Berlusconi, gli equivoci di Salvini e i contorsionismi populisti di Conte, e non ha perso un attimo nel collocare il suo partito nello schieramento occidentale, ben consapevole che la linea di demarcazione dell’arco costituzionale di domani sarà segnata dalla solidarietà occidentale e non dalle reminiscenze del passato remoto o dal sovranismo di ieri; quando invece un partito che sostiene il governo, come il M5S di Conte, prova a differenziarsi contestando l’aumento della spesa militare sino al 2% del PIL, in esecuzione di una decisione presa da anni e al tempo praticata dallo stesso Conte, e che oggi si appalesa ancora più necessaria e urgente per dare vita a una comune politica estera e di difesa europea a fronte della politica aggressiva della Russia di Putin.

E tutto questo senza che nessuno provi a dire ai nostri pax-populisti di ritorno che i fatti stanno ben diversamente, come ha ricordato al “colto pubblico e all’inclita guarnigione” il bravo giornalista Danilo Taino sul CorSera del 17 marzo, evidenziando che a partire dalla dissoluzione dell’URSS la presenza militare della NATO in Europa si è progressivamente ridotta da circa 315mila unità del 1989 a meno di 64mila del 2021, che le testate nucleari della NATO nello stesso periodo sono passate da 7.300 a circa 100, e che, quando si afferma stupidamente che l’Occidente avrebbe circondato la Russia, si dimentica che, rispetto ai 14 paesi con cui la Russia confina per uno sviluppo di circa 20mila Km., quelli che la Russia ha in comune con un qualche paese NATO sono soltanto 1.215 km., e che buona parte di questi è rappresentata dai confini di Polonia e Lituania con l’enclave russa di Kaliningrad.

Se poi qualcuna di queste obiezioni fa breccia nelle granitiche convinzioni dei sostenitori di un qualche appeasement verso Putin, allora viene fuori l’argomento degli argomenti, per il quale la colpa dell’aggressione è della stessa Ucraina e di Zelensky, che se la sono proprio cercata facendo “bau bau” alla Russia e al suo capo quando hanno osato ipotizzare la possibile adesione all’UE e l’impossibile adesione alla NATO; per cui, gli ucraini farebbero bene ad arrendersi subito, se vogliono risparmiarsi la giusta punizione per avere osato resistere, e l’Occidente farebbe bene a non inviare un solo dollaro/euro di aiuti militari per non prolungare un’inutile agonia.

Per non dire, poi, della prospettiva di ricorrere all’unica vera sanzione che potrebbe intimorire alquanto lo zar di Mosca, e cioè il blocco delle importazioni del gas russo, che Putin sembra ora volere imboccare con la sua paradossale pretesa di essere pagato in rubli, e che però viene esorcizzato dal timore di restare senza quella fonte di energia da cui, in tanti anni, abbiamo fatto dipendere buona parte del nostro precario benessere civile; mentre resta sullo sfondo, ma non troppo, la terrificante visione dell’olocausto nucleare, che ovviamente, ancora una volta, nella visione dei nostri intellettuali televisivi, non sarebbe responsabilità di chi usasse quel diabolico strumento di morte generalizzata, ma di chi, avendo osato resistere anche solo con armi convenzionali, avrebbe dato all’aggressore la scusa per usare l’arma “fine del mondo”.

Quanto al suo discorso ai parlamentari italiani, Zelensky, oltre a richiamare il bombardamento di Genova, avrebbe potuto fare un qualche riferimento alla nostra Resistenza contro il nazifascismo, ma qualcuno gli avrà detto che non si trattò di un fenomeno di massa con la partecipazione dell’intero popolo italiano (come oggi certamente è la resistenza ucraina), ma fu per lo più opera di un certo numero di militanti già politicamente impegnati e di tanti civili e militari che si rifiutarono di farsi inquadrare nell’esercito di Salò, mentre la resistenza dei militari italiani all’invasione nazista, dopo l’armistizio annunziato da Badoglio l’’8 settembre, si limitò all’eroica ma improvvisata difesa di alcuni quartieri di Roma ed ebbe il suo più corale esempio solo nella strenua lotta e nella tragica sorte dei militari della Divisione Acqui, che, insieme a Carabinieri, Finanzieri e Marinai di stanza a Cefalonia e nelle isole vicine, opposero l’unica vera resistenza, poi soffocata col brutale eccidio di quasi tutti inostri eroici militari.

Passando a vicende meno lontane, Zelensky avrebbe poi potuto evocare anche gli anni settanta del secolo scorso, quando il piombo delle tante Brigate Rosse che allora imperversavano in Italia ha mietuto centinaia di vittime, molte di altissimo rango intellettuale e politico, trovando per nostra fortuna nei governi di allora, ma anche nella magistratura e nelle forze di polizia, un ostacolo che si rivelò salvifico per le istituzioni repubblicane.

E tuttavia, anche allora, l’opposizione al terrorismo non fu azione di un popolo mobilitato contro l’attacco brigatista, mentre l’opinione pubblica si trovò frastornata dallo spettacolo di tanti sottili e causidiche distinzioni di buona parte della classe intellettuale, politica e sindacale del Paese, che preferì stare alla finestra per vedere come andava a finire, criticando fortemente le leggi speciali, a partire da quella Reale del 1975, e trincerandosi dialetticamente sulla linea della neutralità tra lo Stato e le BR.

Un neutralismo conclamato che durò almeno sino a che la c. d. “cacciata” di Luciano Lama a Valle Giulia nel 1977, e poi, in tragica successione, l’assassinio del leader democristiano Moro nel 1978, quello del sindacalista comunista Guido Rossa nel 1979 e quello del giornalista socialista Walter Tobagi nel 1980 non fecero capire che l’attacco allo Stato non avrebbe risparmiato né i governanti, né gli oppositori, né gli intellettuali e i giornalisti, e così finalmente permettendo il varo della legge Cossiga del 1979-1980 che diede l’impulso finale alla vittoria dello Stato.

Insomma, se, dopo queste riflessioni, torno a ripropormi quell’ingenuo interrogativo da cui ho preso le mosse – e cioè del perché Zelensky abbia evitato di chiederci esplicitamente un aiuto militare –mi vien da pensare che debba essersi informato sull’atteggiamento abituale degli italiani in simili circostanze, e che quindi si sia convinto che era meglio evitare richieste imbarazzanti per i parlamentari che si avevano accettato di ascoltarlo.

Ora, nei giorni scorsi, è circolata la notizia che lo stesso Zelensky abbia espresso il desiderio che l’Italia entri a fare parte del gruppo di Stati che dovrebbero garantire militarmente la libertà e la sicurezza del suo Paese, se è quando arriverà la pace che tutti auspichiamo.

E mi viene allora di pensare che le informazioni ricevute non siano state del tutto esaurienti, avendo ignorato gli ultimi sondaggi che hanno rivelato un preoccupante disinteresse degli italiani per la sopravvivenza in libertà dell’Ucraina – ancora una volta, piace evidenziarlo, con l’encomiabile eccezione degli elettori di FdI – con motivazioni diverse ma convergenti che sembrano l’atto di nascita del P. N. I. (Partito Neutralista Italiano, o anche Partito Nénéista Italiano), alla cui guida sembra aspirare il rinominato capo politico del M5S, che spera così di fermare il declino del suo partito con la sua opposizione al graduale aumento delle spese militari, proprio ora che siamo in tempi di guerra, quando invece lui stesso le aveva implementate in tempo di pace.

Per questo nuovo partito, in fondo, sembra valere ancora la constatazione di Francesco Guicciardini, quando, cinque secoli fa, mentre le due grandi potenze di allora si spartivano l’Italia, guardava con amara ironia all’indifferenza politica degli italiani e dei loro capetti locali, bollandoli con l’epiteto “Franza o Spagna, purché se magna”, che, di fronte alla temutissima crisi energetica di domani, per la verità dovuta all’imprevidenza dei governi dell’ultimo trentennio, si potrebbe attualizzare in “Russia o NATO, purché ben scaldato!


Di Enzo Palumbo (Democrazia Liberale)

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