Il nuovo corso della segreteria, passata la sbornia della vittoria (netta e incontestabile per numeri e partecipazione) inizia a trovare i suoi primi intoppi e le sue prime difficoltà. I problemi sono tanti. Vanno dalla gestione dei gruppi parlamentari, dove i fedelissimi di Zingaretti sono pochi e i pasdaran renziani ancora in buon numero, al conteggio dei delegati per l’Assemblea nazionale, che procede a rilento, compresa l’assegnazione delle relative quote, alla ristrutturazione interna del partito che ha bisogno di tempo.
Intanto, arriva la prima nomina ed è una vera sorpresa. Il nuovo tesoriere del partito, al posto di Francesco Bonifazi, renzianissimo che oggi ha dato un’intervista al Corsera per annunciare, in anticipo, che avrebbe rimesso il suo mandato e anche per dire che resterà “fedele a Renzi a filo doppio”. Al suo posto, però, non andrà – come tutti avevano scritto – Antonio Misiani, che già aveva ricoperto quell’incarico nella segreteria Bersani e oggi milita nell’area Orlando, ma Luigi Zanda, ex capogruppo del Pd al Senato nella passata legislatura, uno che alla gestione di Renzi, sia nel partito che al governo, aveva fatto vedere i classici ‘sorci verdi’.
Misiani ha preferito rinunciare perché non gli sembrava “opportuno”, dice a chi lo conosce, accettare un’incarico che aveva già ricoperto in una precedente gestione e così Zingaretti, dopo un breve colloquio con l’ex capogruppo, ha passato a lui la patata bollente. La prima battuta di Zanda è ironica: “È un incarico immaginario perché per fare il tesoriere ci vuole il tesoro ma qui il tesoro non c’è”. La situazione dei conti dem, infatti, è davvero catastrofica. Tanto per dirne una, l’assemblea di proclamazione del nuovo segretario è fissata per domenica 17 marzo e la domanda sorge spontanea: perché non domenica prossima, cioè subito, come sarebbe stato logico? Risposta: perché domenica prossima l’Hotel Ergife è occupato. E poiché, tra gli alberghi che hanno una sala capiente, è quello l’albergo più “economico”, è stata spostata l’Assemblea, non essendoci i soldi necessari per pagarne un altro più caro. Così sta messo il Pd dopo la cura Renzi che lo ha svuotato nei voti e nelle casse. L'intervista al Corriere del tesoriere precedente, Francesco Bonifazi, è stata vissuta con un malcelato fastidio nel giro di Zingaretti perché “ci vuole proprio una faccia di bronzo a parlare dopo aver lasciato un partito che non c'ha nemmeno una lira per piangere”.
La maggioranza ‘zingarettiana’ uscita dalle primarie è minoranza nei gruppi parlamentari, frutto dell’era Renzi che compose, con mano ferrea, le liste del Pd alle Politiche. Questo il punto di partenza da cui è partita una discussione interna che ha portato, per ora, allo slittamento della convocazione dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Le assemblee dei gruppi, fissate per oggi dopo l’aula e poi rinviate, devono eleggere i 100 parlamentari da inviare come delegati dentro l’Assemblea nazionale. Dati i rapporti di forza, la minoranza (tra area Martina e area Giachetti) potrebbe essere ‘sovra-rappresentata’. La maggioranza (in Transatlantico si parla già di ‘lodo Franceschini’) avrebbe proposto di eleggere tutti i parlamentari: 160 invece che 100. Un modo per evitare conte e divisioni, si spiega. Ma da ambienti parlamentari renziani la cosa viene letta così: “Siamo al primo scazzo... Vogliono aumentare i loro numeri”. La discussione è in corso e le riunioni dei gruppi sono state sconvocate. Intanto, il neosegretario Nicola Zingaretti ha sentito al telefono i due capigruppo, Andrea Marcucci e Graziano Delrio.
Infine, se è vero che il conteggio del numero dei mille delegati spettanti a ciascuna mozione è difficile e complicato (i delegati sono eletti sulla base di liste bloccate, senza preferenze, e con un meccanismo di calcolo proporzionale che prevede il recupero dei resti) è singolare che, a tre giorni dalle primarie, ancora non si sappia chi sono. Secondo i primi calcoli sulle percentuali ottenute dalle tre mozioni, Nicola Zingaretti avrebbe una larga maggioranza (circa 650 delegati su 1000) mentre i restanti 355 sarebbero divisi così tra Maurizio Martina e Roberto Giachetti: ‘circa’ 250 al primo e 105 al secondo.
Secondo altri calcoli Zingaretti avrebbe una maggioranza di circa 660 delegati e, a spartirsi i restanti 340, la mozione Martina ne avrebbe 220 e quella Giachetti 120.
Al Nazareno, Zingaretti porterà quasi certamente con sé Paola De Micheli, che è stata la coordinatrice nazionale della sua mozione, ma non è detto che lo faccia per promuoverla a vice-segretario, carica che potrebbe anche non esserci. Di sicuro, è escluso che Martina possa diventare vice-segretario. Per il resto, il neo-segretario sembra voler attendere gli equilibri che si svilupperanno anche all'interno delle (nuove) minoranze. Se è nelle cose un dialogo con Martina, l’area renziana è in fermento, con accuse reciproche tra martiniani e giachettiani che si rimpallano la responsabilità della sconfitta.
Ma il governatore del Lazio pensa anche al futuro meno immediato. Ossia quello delle elezioni politiche: “Potrebbero anche essere fra un anno”, dice ai suoi il governatore del Lazio, che non si vuol fare trovare impreparato all’appuntamento. Per questa ragione ha deciso di proporre Paolo Gentiloni presidente del partito e candidato premier, visto che Zingaretti, al contrario di Renzi, ritiene che il segretario del Pd non debba automaticamente correre per palazzo Chigi. Insomma, Gentiloni sarà il nuovo Prodi”, scrive la Meli.
Eletto segretario formalmente, vedrà subito Emma Bonino, Federico Pizzarotti e Monica Frassoni. Ossia “Più Europa”, le liste civiche che oggi fanno capo a Italia Bene in Comune del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, i Verdi europei. Il guaio è che sono anche gli stessi che hanno già detto di no a Calenda per un listone unitario. Lui insisterà, pronto anche a mettere in gioco il simbolo del partito. Se i suoi interlocutori confermeranno il no, il governatore del Lazio (perché tale rimarrà durante la sua segreteria) tenterà la carta dei capilista ad effetto, la maggior parte non di partito: Giuliano Pisapia, nel NordOvest, Carlo Calenda al Centro, Massimo Cacciari nel NordEst, Ilaria Cucchi e un’altra donna da definire. Già, perché quello delle Europee è un altro dossier che il neo segretario del Pd dovrà, prima o poi, aprire. Il traguardo massimo è superare i 5 Stelle, in calo nei sondaggi dove scivolano pericolosamente verso il 20% mentre il Pd ‘vede’, nelle ultime rilevazioni, già il 20%. Quello minimo, ma sempre importante, è riuscire a prendere più consensi delle Politiche. Anche per questo Zingaretti incontrerà presto il segretario della Cgil, Maurizio Landini.
di Ettore Maria Colombo
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