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È battaglia sul marchio Pernigotti, il governo annuncia la legge contro la delocalizzazione


«Ditelo meglio con i cioccolatini Pernigotti». Lo slogan pubblicitario degli anni '70 illustra tutta la storia di un'azienda nata nel 1868 (i Pernigotti avevano aperto una drogheria nel 1860) e che solo negli ultimi decenni ha conosciuto la crisi, arrivando attraverso diversi passaggi aziendali alla recentissima chiusura dello stabilimento di Novi Ligure, che nonostante il nome si trova in provincia di Alessandria, in Piemonte.

L'azienda aveva un rosso di 8 milioni di euro che ha eroso il patrimonio netto portandolo a 914 mila euro a fine 2017. La ricapitalizzazione di 5 milioni non è bastata a evitare la chiusura, e nemmeno l'avvicendamento di manager da quando è subentrata la famiglia turca Toksoz, nel 2013. Nel 1995 la famiglia Pernigotti ha ceduto la proprietà alla famiglia Averna, che però non ha mai investito nell'ammodernamento dei macchinari e nell'evoluzione delle linee produttive.

La vicenda è stata oggi oggetto di un'interrogazione urgente alla Camera dei Deputati da parte di Paola Frassinetti, di Fratelli d'Italia. «Nel 2013 Averna cede la proprietà a Sunset Food, divisione alimentare del gruppo turco Toksoz, e da subito è apparso evidente come l'interesse dei turchi fosse quello di rilevare l'importanza e la storicità del marchio senza tener conto della storia e della cultura dolciaria nel territorio nonché dei lavoratori e delle loro famiglie. E infatti nel 2015 il gruppo Toksoz chiude il reparto logistica, che impiegava 50 dipendenti, esternalizzando il servizio, Secondo alcune fonti l'azienda sarebbe pronta a fare la stessa cosa col resto dello stabilimento, poiché pare che ne abbiano costruito uno nuovo in Turchia, nel quartiere europeo di Istambul, lasciando in Italia solo la rete marketing, a Milano,. L'azienda ha anche fatto sapere di essere alla ricerca di un partner industriale in Italia cui affidare la produzione e per ricollocare i dipendenti presso aziende del medesimo settore, aggiungendo che sta già dialogando con alcune aziende del settore dolciario italiano. Difficile però fidarsi di questa dichiarazione d'intenti, di voler esternalizzare in Italia, per noi le intenzioni del gruppo appaiono evidenti: mantenere la proprietà di un marchio storico italiano, produrre a basso costo e a bassa qualità in Turchia, e vendere in Italia e nel mondo un cioccolatino turco spacciandolo per italiano. In altre parole: delocalizzazione».

Il governo si attiva convocando un tavolo di confronto con la proprietà tenutosi ieri al ministero per lo Sviluppo Economico. Il ministro Luigi di Maio ha sottolineato che «Pernigotti è un marchio made in Italy e esiste grazie alla tradizione del territorio e dei suoi lavoratori, pertanto l'azienda sarà coperta dalla cassa integrazione per incentivi tecnologici affinché il destino dei lavoratori non sia diviso da quello del marchio. Ci sarà anche un incontro alla presidenza del Consiglio con il premier Giuseppe Conte che vuole incontrare direttamente la proprietà per un confronto costruttivo sul futuro del sito produttivo e dei lavoratori; e se la proprietà non dovesse più investire a Novi Ligure dovrà dare la totale disponibilità a cedere il marchio e lo stabilimento».

Il sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali Claudio Durigon ha assicurato che «il governo si impegnerà per trovare nuovi soggetti interessati alla reindustrializzazione dell'area e alla salvaguardia occupazionale, utilizzando l'accesso al trattamento straordinario di integrazione salariale dei lavoratori coinvolti: un sostegno ai lavoratori che sarà però temporaneo, sarà un ponte tra la situazione attuale e la ripresa delle attività produttive. Faremo una nuova legge per rendere strettamente legati i marchi al territorio di provenienza per non permettere che storie di eccellenza del made in Italy vadano persi».

Al termine dell'interrogazione Paola Frassinetti è dubbiosa e poco soddisfatta delle promesse del governo: «La crisi della Pernigotti è la punta di un iceberg, già in passato abbiamo constatato che la dinamica delle multinazionali straniere è fare molte promesse all'inizio senza poi mantenerle e molte aziende spariscono, vengono svuotate del loro contenuto. Su 150 società italiane in queste situazioni la metà è scomparsa e questo non ci induce all'ottimismo. Speriamo non ci rimanga l'amaro in bocca».


di Paolo dal Dosso

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