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Barcellona e Napoli aprono all'Aquarius, ma per Salvini «può andare ovunque ma non in Italia»



Barcellona e Napoli rispondono alla chiamata di Aquarius, protagonista dell’ennesima epopea delle navi Ong nelle acque nel Mediterraneo. Dopo i no di Roma e La Valletta arrivano i primi inviti da parte di porti sicuri. Quello della capitale catalana sarebbe un bis, dopo che circa due mesi fa l’Aquarius aveva fatto rotta e sbarcato il carico umano nel porto spagnolo in seguito al brusco braccio di ferro con l’Italia, che aveva dato via alla politica dei porti chiusi. Nulla di nuovo da quel fronte, stando almeno alle parole dei due protagonisti dell’estate dei rimbalzi italiani, Matteo Salvini e Danilo Toninelli che in rappresentanza delle rispettive ali governative sembrano intendersi alla grande quando si parla di respingimenti. «Proprietà tedesca, noleggiata da Ong francese, equipaggio straniero, in acque maltesi, battente bandiera di Gibilterra. Può andare dove vuole, ma non in Italia!». Si è espresso così tramite un post Facebook il capo del Viminale in merito alla sorte della nave ong di Sos Mediteranee e di Msf, da ormai tre giorni in mare con 141 passeggeri migranti a bordo, in condizioni di salute non critiche, sebbene, secondo quanto riferito già ieri dal comandante nel suo appello all’Ue, molti di questi sarebbero in uno stato avanzato di denutrizione. Toninelli, titolare del Ministero dei Trasporti, avrebbe addirittura rincarato la dose, invitando la Gran Bretagna a prendersi la propria parte di responsabiltà, vista la bandiera di Gibilterra che batte l’Aquarius. Insomma il solito fuoco incrociato di comunicati e dichiarazioni al vetriolo che sorvolano le onde del Mediterraneo, rimbalzando da quella nazione all’altra, da una nave a un porto.


Napoli, si diceva. È giunto infatti in giornata l’invito, provocatorio come è nello stile del primo cittadino Luigi De Magistris, rivolto alla nave Ong in cui si ribadiva l’apertura del porto partenopeo in pieno scontro con il diktat arrivato dal Viminale. Poco dopo, sempre in contrasto con gli ordini dall’alto, anche da Palermo sarebbe arrivato un invito analogo, con il sindaco Leoluca Orlando che avrebbe addirittura parlato di «Palermo e Sicilia che non tradiscono la loro storia», ovviamente chiaro riferimento al passato, breve e non, in cui gli sbarchi sono ormai un fatto culturalmente accettato.

Restano all’ordine del giorno quelli a Lampedusa, l’isola siciliana divenuta negli anni il manifesto della questione migratoria. Solo negli ultimi due giorni più di cento persone, a bordo degli ormai famosi barchini, avrebbero sfidato la sorte e raggiunto l’isola scortati da motovedette della Guardia costiera. Un’impresa preferita al salvataggio da parte proprio dell’Aquarius. Stando infatti al racconto di undici tunisini giunti nella notte di ieri a largo delle coste italiane, si starebbe profilando ormai una condotta di rifiuto dell’aiuto delle navi ong, evidentemente anche in Nord Africa è risaputo come sia più difficile proseguire il viaggio verso i Paesi del Nord Europa, vera meta ambita dai migranti, venendo “salvati” da queste imbarcazioni piuttosto che sfidando la sorte e il mare, spesso con mezzi di fortuna o scorte di acqua e cibo irrisorie. Una teoria che, se confermata, rappresenterebbe un altro duro colpo alle Organizzazioni non governative che operano in mare, che oltre a vedersi accusare dai governi troverebbero anche il rifiuto di quanti prima ne imploravano l’intervento. Un paradosso che ormai non colpisce nemmeno più, dopo un’estate in cui se ne sono sentite di tutti i colori.


Intanto l’Aquarius, in acque Sar maltesi, resta in stand-by, con 141 persone a bordo e in attesa di conoscere quale sarà il suo destino. Se qualche manifestazione di solidarietà si è avuta, altresì sono arrivati bruschi stop. Oltre a quelli già citati di Italia e Malta, anche dalla Libia, centro da cui sarebbe dovuto essere coordinato il salvataggio, non è mai giunta comunicazione di un eventuale porto sicuro in cui sbarcare i migranti, nonostante con buona probabilità proprio la stessa Aquarius si sarebbe rifiutata di ricondurre i malcapitati da dove erano partiti, visti i racconti di molti di loro che parlavano di condizioni di “detenzione” nei centri libici al limite delle più comuni norme sul trattamento degli esseri umani.

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