Danneggiati, beffati e persino sbeffeggiati. Non è mancato proprio nulla nel menu di riguardo che l'Europa ha servito all'Italia in un fine settimana infuocato, partito con le invocazioni per una solidarietà che da verbale e aleatoria si trasformasse in concreta e tangibile, attraverso un gesto di responsabilità che favorisse lo sbarco dei migranti sulla nave Diciotti e desse via all'equa distribuzione tra gli Stati membri, e invece miseramente conclusosi con un nulla di fatto da parte di Bruxelles e, ciliegina sulla torta, con l'informativa da parte della Procura di Agrigento dell'iscrizione nel registro degli indagati del vicepremier e capo del Viminale Matteo Salvini, reo probabilmente di aver reso un servizio sin troppo puntale e attento nella difesa dei confini e della sicurezza nazionale. Sembra ormai tutto lecito in questi giorni di ordinaria follia: dalle minacce dell'altro vicepremier, Luigi Di Maio, che ipotizzava lo stop ai contributi da parte dell'Italia al budget europeo, che costano circa 20 miliardi l'anno. Una provocazione, almeno così percepita inizialmente, che è poi stata ripresa anche dal premier Giuseppe Conte, a conferma che l'intenzione sembri ben più che giocosa. Per non parlare poi dei rimbrotti inquieti piovuti da ogni dove a ricordare alla "discola" Italia il proprio posto in fila indiana nell'Europa della solidarietà degli inni e delle giornate della commozione, che appare un tantino impacciata quando realizza che la retorica non dà da mangiare ai milioni di poveri ancora esistenti (né tanto meno a quelli freschi di traversata nel Mediterraneo). Un'Europa vampiro, bravissima nel sedurre la vittima con promesse di gloria eterna e di futuri radiosi da El Dorado e poi scientifica nel succhiarle via risorse e capacità motorie, lasciandola inerme a chiedersi il perché delle sue sciagure. Come può non tornare alla memoria lo slogan con cui, ormai lustri e lustri fa, il Prof, Romano Prodi, ci spacciava per il "6" all'Enalotto la svolta europeista nel cambio moneta in favore dell'euro. «Guadagneremo come se lavorassimo una settimana in più, lavorando una settimana in meno». Ah i bei tempi, quando le favole ancora non sembravano tali e «si stava meglio quando si stava peggio», che il peggio di allora sembra il Paradiso in terra confrontato con l'attualità. A guardare gli ultimi venti anni di storia dell'Unione Europea, con gli occhi di un comune cittadino, intendiamoci, non di un burocrate "troikista" di Bruxelles, e stilando una lista dei pro e dei contro, il bilancio sembra tristemente propendere per la seconda colonna, eppure, come nella favola della rana che, messa in una pentola sotto al fuoco si abitua lentamente ai vari cambi di temperatura dell'acqua sino a rimanere lessa e cotta a puntino, la percezione comune, simile a quella di un drogato con la sostanza di turno, è di un rapporto di indissolubile e unilaterale necessità. Una sindrome di Stoccolma istituzionale che fa gridare al colpo di Stato se solo si paventa la possibilità di un ritorno alle origini, nemmeno si proferisse un'oscenità.
Tornando ai contributi, quelli obbligatori, da versare con puntualità, pena sanzioni straordinarie che, nemmeno a dirlo, succhiano altri soldi, non può non essere palese la disparità di trattamento e di condotta dell'Ue quando si tratta di imporre per ottenere e quando di consigliare, sotto voce e con estremo garbo, quando si tratta di concedere. Scenari da apocalisse se l'Italia venisse meno all'impegno economico con la bellissima Comunità sognata nei forzati esili da Spinelli, tutto normale se invece è l'Europa ad infischiarsene dei disperati richiami di un suo pargolo in difficoltà. Che fare dunque? Continuare a piegare la testa sino a vedere le proprie stesse natiche? O reagire?
Lungi dal voler pubblicizzare manifesti sovversivi, si potrebbe prendere in esame il consiglio del Saggio: «Se non puoi batterli, usali». Giocare al loro stesso gioco e batterli. Ma come? Semplice, attuando punto per punto, con maniacale fiscalismo, da ufficio amministrativo svizzero, punto per punto, paragrafo per paragrafo, "l'accoglienza secondo Bruxelles". Il primo passo sarebbe allora quello di aprire tutti i porti, anche quelli che ancora non ci sono, che tanto uno in più non può certo guastare: grandi feste di benvenuto, a spese nostre, mica ci facciamo ridere dietro, con stand enogastronomici per fornire immediato assaggio delle prelibatezze nostrane a quei poveri affamati dal Nord Africa. E padiglioni medici, per curarli e dar prova di un'umanità che a quanto pare latita dalle nostre parti. Magari, perché no, qualche stand di alta moda, per rivestirli e dar sfoggio di altre arti in cui eccelliamo. E poi, meraviglia delle meraviglie, niente più riconoscimenti o operazioni lunghe e strazianti di verifiche burocratiche: «Volete l'Europa? Noi ve la daremo». Subito pronti documenti, carte d'identità, passaporti, certificati di quel che volete voi, per permettere sin da subito a questi nuovi, nuovissimi inconsapevoli concittadini di muoversi liberamente nel nostro splendido Paese e, perché no, magari in tutto il continente. Che tanto si sa, l'Italia è solo meta sgradita di passaggio, una specie di enorme piattaforma di scemi che accolgono, curano, vestono e lavano a proprie spese persone che nemmeno vogliono starci qui. E allora detto fatto: documenti legalmente validi per tutti e ognuno per la sua strada! Germania, Austria, Francia, chi più ne ha più ne metta. Magari in allegato ai documenti anche qualche cartina geografica e guida per gustare le bellezze che questi paradisi possono offrire. Sarebbe un trionfo su tutta la linea: legale e solidale, proprio come piace a Bruxelles. E per non farci mancare niente, anche un ammiccamento alla cancelliera Merkel, con il suo Schengen che giungerebbe a livelli idilliaci di funzionamento, nemmeno mai sperati dai più ottimisti. L'Italia trasformata in un superbo e ben arredato corridoio umanitario.
Una provocazione, un gioco di fantasia, nulla più. Soltanto un'evasione ispirata da un Morfeo in stato di grazia. Non temano gli ultras del rigore, gli hooligans dell'austerità. La realtà parla chiaro e purtroppo suscita ben pochi sorrisi, non c'è scherzo che tenga. Le mancanze enormi, le voragini dal punto di vista dell'impegno sociale emerse dall'operato di questi anni dell'Europa e inasprite dal suo continuo rimandarle in capo ad altri soggetti o a calamità del fato, evidenziano l'incapacità, o peggio la mancanza di volontà, di trasformare nel sogno che ci è stato propinato quello che fino ad ora è soltanto un incubo da cui è impossibile ridestarsi.
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