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L'accordo dei 28 al Consiglio europeo Salvini: "Accolto 70 per cento di nostre richieste"


"Eppur si muove". All'indomani dell'accordo raggiunto a tarda notte fra i 28 di Bruxelles sulla questione migratoria, l'Europa supera la nottata e si risveglia con un accordo unanime che per alcuni è un sostanziale pareggio che non cambia molto la situazione attuale, per altri è un primo passo verso una redistribuzione degli oneri legati all'accoglienza e allo smistamento dei richiedenti asilo.


Dopo una turbolenta nottata di tavoli di lavoro, alleanze sfatte e rimesse in piedi, di pugni sbattuti sul tavolo e di sorrisi per stemperare la tensione, dopo le quattro di mattina il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha potuto finalmente annunciare un accordo congiunto e senza eccezioni dei 28 paesi dell'Unione sulla migrazione.

Il documento redatto in dodici punti elenca l'accordo figlio di almeno dieci ore di trattative estenuanti. Se da un lato l'Italia a guida Conte incassa il via libera dall'Ue all'intensificazione degli aiuti economici al fondo fiduciario per l'Africa, sebbene i 500 milioni di euro previsti per l'investimento siano ancora un'inezia rispetto alle reali necessità, e l'impegno di tutti i paesi a contribuire al rinforzo dei confini esterni del Mediterraneo centrale, Libia leggasi, e di quello orientale che passa per il confine turco; dall'altro lato deve cedere sulla richiesta, appoggiata caldamente da Francia e Spagna, di reintegro di tutti quei migranti registrati nel nostro paese e successivamente approdati in altre nazioni europee, sebbene secondo quanto specificato da Conte e ribadito dalla Merkel non ci sia accordo bilaterale nero su bianco. Se infatti il caso Lifeline aveva aperto più di uno spiraglio verso il superamento di Dublino, occorrerà invece attendere la riforma del documento (Dublino 3, ndr) per capire se realmente sarà quella la direzione presa e se verrà confermato come obbligo l'inserimento della quota fissa di migranti da ripartire fra i paesi comunitari. Per quanto concerne l'accoglienza congiunta, altro tema caro all'Italia e su cui si è dibattuto a lungo a Bruxelles, il premier Giuseppe Conte è riuscito a strappare un impegno, specificatamente definito però "volenteroso" dal documento, secondo cui verranno istituiti hot spot interni all'Unione in quei paesi che per loro volontà vorranno aderire alla misura solidale, fermo restando che il peso della gestione dei flussi rimane a carico dei paesi di sbarco e che a essere ridistribuiti, su base appunto volontaria, potranno essere solo quei migranti legalmente confluiti in Europa e a cui spetta lo status di rifugiati, mentre restano esclusi dal provvedimento i migranti "economici" o illegali, da accogliere dunque nel paese di primo approdo in attesa del rimpatrio.

Eppure il ministro degli Interni Salvini, intervistato questa mattina a Radio Capital, ha fermamente ribadito che l'Italia non aprirà alcun nuovo centro di accoglienza e che "gli unici centri che stiamo aprendo sono quelli per i rimpatri e ne vogliamo almeno uno in ogni regione."


Altra questione cara all'Italia, seguita a ruota dall'Austria di Sebastian Kurz e dall'asse dei quattro di Visegrad, è quella dell'istituzione di piattaforme di sbarco Onu, da collocarsi nei paesi africani a maggior numero di partenze, in cui poter verificare lo status dei richiedenti asilo e determinarne o meno la possibilità di approdo in Europa. La richiesta è stata favorevolmente recepita dal Consiglio, sebbene resti il nodo legato a dove istituire tali piattaforme, non potendo l'Europa costringere quei paesi africani interessati.


Se dunque, per certi versi, l'Italia esce dalla nottata con meno di quanto avesse richiesto, è senz'altro un fatto che per la prima volta dopo anni di immobilismo di matrice "sinistroide", il tema centrale del dibattito fosse un fascicolo tutto italiano e che per una volta siano stati gli altri grandi d'Europa ad ascoltare la nostra voce. "È stato portato a casa il 70 per cento di quanto richiesto" ha infatti ribadito il vicepremier Salvini che se può esultare sul ruolo di apripista nei trattati che l'Italia sembra faticosamente poter recuperare, resta piuttosto tiepido sulla reale attuazione di quelle che definisce per ora soltanto parole: "Non mi fido delle parole, vediamo che impegni concreti ci sono perché finora è sempre stato "viva l'Europa viva l'Europa", ma poi paga l'Italia". A margine del festival del lavoro di Milano a cui erano presenti entrambi i vicepremier, il leader leghista ha voluto comunque complimentarsi con il presidente del Consiglio Conte per il ruolo svolto quale portavoce della nazione: "Sono soddisfatto e orgoglioso per i risultati del nostro governo a Bruxelles. Finalmente l’Europa è stata costretta ad accettare la discussione su una proposta italiana. Rispetto al nulla dei governi Letta, Renzi e Gentiloni sono state accettate numerose nostre richieste. Su altre ancora c’è ancora da lavorare. Però finalmente l’Italia è uscita dall’isolamento e torna protagonista. Ho sentito il premier Conte per complimentarmi, i ministri di Maio, Toninelli e Moavero ai quali ho espresso tutta la mia soddisfazione perché siamo tornati protagonisti. Con la sinistra l’Italia era ridotta a una comparsa". Un Salvini dunque fiducioso ma con la testa già al futuro, conscio che la battaglia è soltanto agli inizi, ma che le carte sono finalmente in tavola e i presupposti sembrano lasciare spazio a ulteriori e costruttivi sviluppi. Esprime ancor più positività il premier Conte, che dopo un breve colloquio proprio con il capo del Viminale, ha riferito ai cronisti la sua sull'esito del Consiglio europeo: "Sul giudizio sull'accordo raggiunto ci cogliete in castagna, ammetto che c'è un lieve disaccordo con Salvini, lui lo considera buono al 70 per cento, io all'80. Sa perché? Avessi scritto io quel testo avrei aggiunto quelle due cose in più che lo avrebbero reso soddisfacente al 100 per cento, ma eravamo in 28 ed è stata una lunga negoziazione".


Chi può invece tirare un sospiro di sollievo e rimandare al mittente gli insistenti rumors delle ultime settimane è la cancelliera Angela Merkel, tornata in patria forte dell'accordo sui movimenti secondari dei migranti che, oltre a salvarle la sedia ed evitarle lo "scontro finale" con l'oltranzista ministro degli Interni della Csu Horst Seehofer, ribadisce, seppur svilita di quel ruolo di intoccabile di mesi fa, che è ancora la Germania, con la corte francese a seguito, a dettare legge sulle questioni fondanti. Grande positività emerge anche dal gruppetto di Visegrad, che molto ha insistito su quel cavillo dei "volenterosi" in merito all'istituzione di nuovi centri di accoglienza per rifugiati, vedendo premiata una politica di chiusura e di sordità nei confronti dei ripetuti appelli del resto d'Europa. La questione è infatti rimandata alle trattative sulla revisione del documento di Dublino, in cui il tema dell'obbligo delle quote sarà il vero dentro-fuori da cui emergeranno le reali possibilità che ha l'Italia, all'interno di questa grande, contraddittoria famiglia, di far valere le proprie sacrosante ragioni.

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