Essere o non essere? Mai dilemma fu più attuale. L'identità, quella invisibile catena di valori, radici, costumi che ci lega indissolubilmente con chi ci ha preceduto e ha posto in essere le fondamenta sociali su cui noi oggi operiamo e costruiamo, resta intramontabile tema al centro del dibattito istituzionale e sociale, in ambito nazionale, continentale e mondiale.
Rimanere fedeli al proprio passato, spesso coincidente col proprio destino, ancorati a quelle categorie di valori che ci hanno formato o seguire le nuove correnti liberiste che fanno della "liberazione" dell'individuo dai vincoli religiosi, sociali e più in generale culturali il nuovo motto da percorrere a priori?
Questioni totalizzanti, scelte di vita, pertinenze filosofiche. Comunque lo si voglia porre il tema assorbe e comprende, in tutte le sue multiple sfaccettature, tutta una serie di condotte che la politica nei diversi poli mondiali di rilievo (Usa, Russia, Unione Europea, Cina) sta mettendo in pratica, inseguendo, come nel caso dell'Ue, una fantomatica idea di libertà in toto, o falciando e sradicando le erbacce del post modernismo liberale, in cerca degli antichi valori fondanti, come nel caso della Russia. Teorico dell'esistenza della quarta ideologia, quella del populismo, che ha il compito di battere nel suo stesso campo la concezione elitaria che ormai si ha di governanti e delle loro azioni, massimo esponente della politica del Cremlino, è il politologo e filosofo Alexander Dugin, da qualcuno definito il Rasputin di Vladimir Putin e che grazie alle sue idee avrebbe ispirato e molto le azioni, soprattutto in campo estero, dell'uomo più potente di Russia.
Strenuo sostenitore dell'anti-elitarismo come unica via di sopravvivenza per un mondo altrimenti soverchiato dai principi vuoti della globalizzazione, Dugin ha più volte esortato i leader europei di partiti non conformi all'istituzionalizzazione di tali precetti liberali, a prendere in mano le redini delle loro nazioni per guidare quella controrivoluzione che riporti in auge i valori cattolici e fondanti di un'Europa «decadente e postmoderna», non più in grado di guidare nessuno, nemmeno se stessa e ridotta a una pallida e irrisoria immagine rispetto ai fasti che ne hanno segnato, a livello storico e intellettuale, le tappe principali della sua esistenza. Al gender, le coppie di fatto, lo sradicamento da legami religiosi, politici e sociali della vita del cittadino europeo di oggi, il filosofo russo contrappone il modello portato avanti anche da Putin, che raccolta l'eredità di una Russia disastrata dal crollo dell'Unione Sovietica, ben e presto si sarebbe reso conto dell'impossibilità di "occidentalizzare" il proprio Paese, avvicinandolo alle posizioni dell'Unione Europea, perché consapevole che, oltre all'abito, dell'Europa non era restato molto. Sparita la sua cultura cattolica e la scala di valori che da sempre ha reso possibile un'identità europea, Dugin si scaglia fortemente contro il nuovo modello perpetuato dalle elite di Bruxelles e da quelle schiere di politici che lo sostengono e arriva addirittura a idealizzare un'egemonia russa sul continete europeo, che sappia far da guida e trainare fuori da questa transizione l'Europa, che ha come primo dovere quello di scindersi dal modello socio economico americano, lo stesso che la sta lentamente e inesorabilmente consumando dall'interno.
Incontrato a Mosca anche dal vicepremier leghista Matteo Salvini, all'indomani delle elezioni americane, Dugin ha posto l'accento sul caso Brexit, spiegando come da lì in poi sia partito un movimento di spinta popolare che rifiuta in toto le politiche spersonalizzanti dell'Ue e mira a riportare l'individuo, il cittadino, al centro della storia e a rimpolpare quella scala di valori ormai considerata vetusta dal postmodernismo. Anche l'elezione di Donald Trump viene letta dal politologo come un forte segno dei tempi, come una risposta degli Stati Uniti, soprattutto nelle sue aree meno influenzate dal globalismo imperante della Manhattan di oggi, alle politiche e alle visioni elitarie di figure come Hillary Clinton.
Per quanto riguarda la situazione italiana, con il voto del 4 marzo, contrariamente a quanto accaduto in Francia e Germania, dove le "resistenze" europeiste sono sopravvissute, questa corrente sovranista, indipendentista o se vogliamo populista ha totalmente invaso e scombussolato la vicenda politica e non di meno la creazione di questa alleanza di governo tutt'ora in auge, tra le due ali più vicine ai precetti di Dugin, Movimento 5 Stelle e la Lega a traino di Matteo Salvini, conferma come la percezione dell'elettorato nei confronti della "vecchia politica" non sia mai stata tanto affetta da scetticismo e ripugnanza. La perdita dei valori "dei propri nonni", e quindi lo svilimento stesso del concetto di individuo ancorato ai precetti cristiani che hanno formato il pensiero europeo, e che poggiano sugli insegnamenti dei pensatori greci e latini, è stata la benzina che ha alimentato il motore che sembra oggi viaggiare a velocità insostenibile.
A tal proposito, per le fila del Partito Democratico, ha espresso tutta la sua preoccupazione e scetticismo il deputato Gianfranco Librandi, che ben a conoscenza delle idee del filosofo russo Dugin, ha ipotizzato, per non dire accusato, la politica dei grillini e chiesto «quanto il loro populismo anti-elitario è congruente con il filosofo amico di Putin Alexander Dugin». Nella sua dichiarazione il democratico Librandi si è poi rivolto direttamente al premier Giuseppe Conte, domandandogli apertamente se quando «si definisce populista pensa alla Russia come leader naturale? Siamo sicuri che questo sia un bene in ambito internazionale?».
Dubbi e contrarietà espressi anche dall'altro polo della politica nazionale, con il deputato di Forza Italia Renata Polverini che ha immediatamente ripreso l'allarme lanciato dal collega Librandi e definito «gravissima» l'ipotetica subordinazione della politica del governo «alla Russia. Anche in chiave internazionale: il superamento dell’Europa e della Nato sono le conseguenze più immediatamente immaginabili di una filosofia - quella di Alexander Dugin - che vuole il populismo come la quarta ideologia e l’Italia come il tavolo sperimentale di un gioco mondiale di rivoluzione del sistema attuale».
Prospettato già nel corso di un'intervista a Il Foglio del 2 marzo 2017, lo scenario previsione del politologo Dugin vedrebbe di fatto ribaltata la posizione dell'Unione Europea, che da grande polo mondiale, capace di guidare, ispirare e influenzare le politiche dei territori e delle popolazioni confinanti verrebbe relegata al ruolo di trainata, proprio da quella Russia di Putin che invano cerca di riassorbire in posizioni concilianti con le sue visioni liberali. Una nuova guerra fredda in cui i poli si sarebbero invertiti e in cui sarebbe Putin il vero "uomo da battere", una prospettiva che non può che essere rigettata da un'Europa che si vuole definire salda e compatta, ma che certamente dovrà dare seguito a dibattiti e interrogazioni su come e in che modo accompagnare il processo di sovranismi che sorgono da Occidente a Oriente del continente, per non vedersi tramutare in uno scenario oggetto di nuove guerre e devastazioni civili che mai come ora sembrano un campanello d'allarme da non sottovalutare.
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