Quello della realtà ribaltata, dello strumentale capovolgimento dei fatti, è un metodo da sempre in voga nei regimi. Prendere un punto oscuro, un lato debole, uno spiraglio potenzialmente attaccabile della politica in atto e farlo diventare un punto di forza. Lungi dal voler considerare l'Italia un Paese sotto regime, visto che qualcosina la storia ce l'ha insegnata, fa comunque riflettere la considerazione che certi schemi siano riproducibili in tutti gli ambienti, anche quelli democratici e come molte volte proprio dietro al "dito" della democrazia, si nascondano condotte e prese di posizione pericolosamente autoritarie.
Prendiamo ad esempio l'ultimo caso politico che vede protagonista nella scena internazionale l'Italia, quello della nave Diciotti, la motovedetta della Guardia Costiera al centro di un estenuante tira e molla tra il governo e il resto del mondo. Nonostante si susseguano e accavallino rimbrotti, tirate d'orecchie, insulti e persino minacce, quasi tutti destinati al capo del Viminale e alla sua "diabolica" politica in difesa dei confini, invettive frutto dell'ingegno di politici a caccia di un minimo di considerazione o partorite dalla noia del calderone dei social, le uniche frasi evidentemente meritevoli di una qual "certa attenzione" mediatica finiscono puntualmente per essere quelle che, se interpretate in una "certa maniera", fanno gridare all'attentato della Costituzione o a un intralcio nell'indipendenza dei poteri dello Stato, prerogativa massima di uno Stato di diritto. Eccola allora, tornare prepotentemente sulla scena politica, la mano della Magistratura. L'intoccabile tra gli intoccabili, una bocca della verità dei nostri giorni, il terzo organo, quello giudiziario, mai come altrove, gode in Italia di una particolare facoltà, quella di indirizzare le vicende politiche a proprio personalissimo gusto. Poco importa se le prerogative, quelle sì vincolanti alla Costituzione, prevedano l'esercizio esclusivo del diritto a giudicare e non quello di legiferare o fare propaganda. Eppure sembra essere uno status pubblicamente accettato dalle opposizioni che, quando non riescono con la forza delle idee e degli atti politici a scalfire l'avversario più bravo e meritevole, giocano la carta del Jolly, in attesa di un qualche magistrato ambizioso e magari fotogenico che venga in loro soccorso, aggiungendo il carico da cento che l'incapacità politica di qualcuno non riesce a partorire e trovando nelle loro infinite risorse il modo per far fuori chi altrimenti prospererebbe per meriti costruiti e riscontrabili.
Ribaltamento della realtà, si diceva. Forse un'esagerazione, sicuramente una provocazione, eppure quando si legge di una Procura che impugna il fascicolo sul caso della Diciotti, ipotizzando addirittura la messa in accusa del titolare del Ministero degli Interni, tutto sembra filare liscio. Mai una voce che si chiedesse se tale rilevanza mediatica non nasconda magari i contorni di un secondo fine, più politico che pratico. Guai a farlo pubblicamente presente! L'insurrezione del Csm o del consesso di magistrati sempre con l'occhio vigile alle spalle, paurosi di qualche anima indipendente con a cuore il regolare svolgimento, nel rispetto dei ruoli, di ciascun organo dello Stato, potrebbe ritorcersi contro con esiti già visti e sperimentati in passato. In sostanza, è tutto nella norma se un magistrato accusa un capo dell'esecutivo di azioni improprie, ancor prima che vi sia stata un'analisi dei fatti, tutto sbagliato se l'accusa è a parti inverse.
Partita prima con la minaccia del sequestro dei beni del suo partito, per i presunti milioni e milioni di euro sottratti indebitamente, proseguita poi con la sapiente e puntuale introduzione di paletti tra le raggiere della bicicletta governativa a ogni provvedimento scomodo (censimento dei rom e chiusura dei porti leggasi) e infine giunta all'intenzione di messa in stato d'accusa, l'avventura governativa tra Matteo Salvini e la Magistratura sembra partita col piede giusto, misurabile in quanti Magistrati sparsi per la Penisola il vicepremier sia riuscito a far indiavolare. Un indice qualitativo di assoluta affidabilità, quando si parla di vicende tutte nostrane. Non può non tornare alla memoria, allora, la vicenda di un altro perseguitato, anzi Il perseguitato per eccellenza, Silvio Berlusconi, in grado di tenere a galla una barca per oltre quindici anni, ma non dotato di abbastanza braccia e mani per tappare tutte le falle, a centinaia, che negli anni i giudici sono riusciti a provocare nella sua macchina (quasi) perfetta. Al diavolo il consenso, i sondaggi, gli apprezzamenti, passi in secondo piano il talento squisitamente politico e oratorio, quando una figura dal peso indiscusso si mette di traverso con iniziative scomode e che ledano l'indissolubile e stagnante status quo della nostra amata Penisola, non c'è santo che tenga. Qualcuno prenderà in mano il fascicolo della sua vita e tra le pieghe di questa cercherà il cavillo su cui costruire la sua disfatta, perché se è vero che ogni volta che c'è una palese interferenza nei doveri istituzionali, muore un po' di Giustizia, l'importante è che il mantra, che è fondamento della nostra vituperata repubblica, sopravviva a tutto e a tutti: cambiare tutto affinché non cambi proprio nulla.
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