Dopo l'acceso diverbio delle ultime ventiquattr'ore con il capo del Viminale Matteo Salvini, la nave ong spagnola Open Arms, capito che non era aria, ha fatto rotta verso la Spagna. Sembrerebbe l'ultima tappa di un'odissea iniziata ieri quando il fondatore della Proactiva, Oscar Camps, ha postato su twitter diverse foto che mostravano i corpi senza vita di una donna e del suo bambino, a detta dello spagnolo lasciati morire dalla marina libica che li avrebbe abbandonati perché la donna non sarebbe voluta salire sulla motovedetta che li avrebbe ricondotti in Libia. A confermare la tesi di Camps anche un'altra donna, l'unica superstite, rimasta ancorata a un relitto di legno per due giorni prima di essere soccorsa dalla nave ong. Un racconto dell'orrore che non ha però trovato riscontro nella versione dell'Italia e che è stato il motivo del reciproco attacco, a colpi di social, tra Salvini e la ong Open Arms. Stando alla ricostruzione del Viminale, infatti, non solo i libici avrebbero salvato tutti i presenti al momento dell'intervento, tesi supportata anche da una giornalista tedesca, Nadja Kriewald della tv N-tv, presente durante l'operazione, ma si sarebbe arrivati addirittura a bollare come fake news la vicenda raccontata dalla ong spagnola, una tesi, che se confermata, segnerebbe un colpo durissimo ai danni di queste associazioni che operano in mare in maniera tutt'altro che trasparente.
E allora Open Arms, senza saper né leggere né scrivere, ha visto bene di declinare con velato garbo l'invito italiano, giunto nella tarda serata di ieri, di approdo nel porto di Catania, ufficialmente per criticità legate alle manovre da compiere per raggiungere la riva siciliana, più probabilmente per timore di ritorsioni da parte del governo, tra cui il possibile sequestro dell'imbarcazione. «Abbiamo rifiutato l'Italia perché non la consideriamo un porto sicuro», la provocazione lanciata da Riccardo Gatti della ong spagnola. Tra i presenti al momento del salvataggio dell'unica superstite a largo della Libia, tra i volontari in caschetto rosso della ong, spiccava la presenza del campione Nba Marc Gasol, che ha riservato a Twitter tutto il proprio sgomento per la situazione che si ritrovano a vivere migliaia di persone costrette ad affrontare il mare.
È infatti un flusso continuo e senza sosta quello delle partenze dal Nord Africa verso l'Europa, un'emergenza che solo le cieche sinistre del vecchio continente continuano a non vedere, o a far finta di non vedere, mentre si chiudono nel loro mantra che "accogliere è bello", tenendo pulita la faccia e la coscienza, con buona pace di chi poi tutte queste "risorse" se le ritrova fra le strade, già spesso dissestate, dei quartieri più disagiati della penisola.
E allora per una che va ce n'è già una che arriva. La notizia di un ennesimo salvataggio a largo di una piattaforma petrolifera risale a pochi giorni fa, quando un barcone di legno stracolmo di migranti è rimasto alla deriva per due giorni, finendo nei pressi della Sarost 5, una nave cargo di rifornimento della piattaforma petrolifera a largo della Tunisia gestita dalla società del gas Miskar. Una volta soccorsi i quaranta migranti a bordo, la nave si è vista rifiutare l'approdo, nell'ordine, da Tunisia, Malta e Italia. La versione dei nordafricani, emanata da un'associazione che si interessa delle condizioni dei richiedenti asilo, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, sarebbe che «la Tunisia si rifiuta di accogliere questi migranti perché non vuole diventare un riferimento di porto sicuro per gli stati europei». Insomma, una bella beffa per la vecchia Europa, visto che da quando l'Italia ha smesso di fare la balia e si è scrollata di dosso il fastidioso ruolo di giardino dal libero accesso, si è vista costretta a rivedere i famosi piani di accoglienza e si è finalmente iniziata a rendere conto che l'apertura a priori funziona finché è a casa degli altri. La nave di nazionalità tunisina è a largo della costa africana in attesa di istruzioni, mentre a bordo risulterebbero due donne incinte oltre a un ferito, con le scorte d'acqua e di cibo che si starebbero esaurendo in fretta.
Un'escalation di emergenze, umanitarie da un lato e politiche dall'altro. Un dramma che non è più possibile procrastinare e dal quale potranno scaturire soltanto due scenari futuri: e in uno soltanto, fatto di ripartizione di obblighi e doveri, la Comunità europea ha qualche chance di sopravvivenza.
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