di Michele Lo Foco
Con il cambio di governo e l’addio di Franceschini, improvvisamente le voci della sinistra sono diventate critiche verso il settore spettacolo. Eppure, per anni, tutti hanno assistito alla veloce crisi degli incassi, all’abbandono dei film italiani, al vergognoso assalto ai soldi statali da parte di aziende straniere, all’arricchimento dei pochi produttori televisivi.
Chiuso l’ombrello di Franceschini, che ha riparato con l’aiuto di Rutelli i potentati nazionali distruggendo il cinema indipendente, ecco risvegliarsi Nanni Moretti, che grida alla bruttezza dei film italiani e se la prende con Netflix, seguito a ruota da giornalisti che non cito per non far loro pubblicità. Premesso che anche Moretti non ha prodotto lungometraggi memorabili negli ultimi periodi, e che come attore una delle scene più ridicole è lo stupro da Lui compiuto ai danni di Isabella Ferrari nel film Caos Calmo, è veramente un esempio di ipocrisia riconoscere ora che c’è stato un travisamento dei fattori, che le soluzioni adottate non erano giuste, che bisogna rimettersi intorno ad un tavolo per ragionare.
La verità è che questo disastro strutturale è da addebitare alle persone che hanno ritenuto di guidare le sorti del cinema, alla loro insipienza e mancanza di intuito, osannati da quei pochi che hanno approfittato della loro familiarità per ingozzarsi bulimicamente di sostegni, di rimborsi, di aiuti televisivi ed hanno prodotto un cinema miserabile costellato di fatture false e di budget falsi, nel quale con c’è traccia né di qualità né di genere né di soprese. Certo che i film italiani sono brutti, ha ragione Moretti, ma quando la produzione è in mano a burocrati, commercialisti e faccendieri, quando le Commissioni che devono “prevedere” i risultati sono asservite ad alcuni interessi, quando le banche riservano i favori solo ai grandi, quando finiscono in borsa strutture senza struttura, quando chiunque può scrivere, sceneggiare, dirigere, allora certo il prodotto non è altro che il risultato artistico di fattori estranei all’arte, al genere, allo spettacolo.
Quello che va compreso è che non è che in Italia manchino le capacità o i produttori bravi: ho visto ultimamente un film bellissimo “the land of dreams”, un musical prodotto da Lotus per la regia del giovane Abbatangelo che non ha nulla da invidiare ai prodotti americani, forse è addirittura superiore. Anche noi abbiamo grandi maestri, come Pupi Avati, che quando riescono ad esprimersi lo fanno con ottimi risultati: quello che va compreso è che vanno cacciati dalla piazza i mercanti di immagini, che non vogliono fare film belli, vogliono solo tax credit, popolarità, donne e molta comodità. Quello che va compreso, una volta per tutte è che Franceschini è stato il locomotore che ha trascinato per anni Siae, Cinecittà, leggi, piattaforme in un viaggio senza meta e senza piloti, nel quale il biglietto lo hanno pagato solo gli indipendenti veri ed ovviamente i cittadini.
Ove non c’è libertà, ma solo discrezionalità e favoritismi, non c’è prodotto e non c’è mercato, perché non bisogna dimenticare che l’audiovisivo è un prodotto culturale in quanto se crea cultura circola nel mondo, dona sensazioni, ricorda, intrattiene nel modo più costruttivo e non danneggia, come avviene oggi sia al cinema che in televisione. L’Italia non esporta immagini perché non ne crea più, grazie a Franceschini che ha ridotto il settore ad un campo da golf per ricchi. Il sistema va ricostruito dalla base, dando al cinema lo spazio vitale con una “finestra” di almeno dodici mesi, modificando la definizione di produttore indipendente ed escludendo dal tax credit speculatori e stranieri. Da qui si può ricominciare.
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