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Metti una sera all’AperiOpera: ascoltare la Lirica tra musica, testo e prelibatezze enogastronomiche



“All’alba vincerò…”. “Questa o quella per me pari sono…”. “Tutti mi cercano, tutti mi vogliono…”. Metti una sera a cena, o meglio all’ora dell’aperitivo, e metti che qualcuno ti racconta, e poi ti fa ascoltare, l’opera lirica. Si chiamano ‘AperiOpera®’, gli appuntamenti, e il primo in ordine temporale cui si potrà assistere a Roma si terrà il prossimo 19 dicembre, a partire dalle ore 19, al ristorante Acquarius di via Aurora 10 (prenotazioni al numero: 3276311599), evento che vedrà anche la presenza straordinaria del maestro Vince Tempera e che è organizzato dalla Macchioni comunications e da ArtsCom. La formula dell’‘AperiOpera®’ se l’è inventata Marco Frusoni, cantante lirico, figlio di Maurizio Frusoni, tenore famoso e purtroppo scomparso venti anni fa, insieme a sua moglie, Sofia, a lungo esperta nel campo della produzione di eventi. Spraynews ha intervistato Frusoni, ideatore dell’evento.


Il tenore Marco Frusoni è Rodolfo nella Bohème di Puccini

Dottor Frusoni, lei è cresciuto a pane e opera lirica…


«È vero, ho respirato aria di musica lirica sin da bambino. A tre anni, all’asilo, cantavo, invece dei canti di Natale, l’aria “Celeste Aida”… Però, da adolescente, mi sono ribellato, come si fa sempre, verso i propri padri, e avevo scelto tutta un’altra carriera. Mi sono laureato in Lettere moderne ed ero finito a fare il manager in un’azienda informatica. Nonostante avessi studiato pianoforte e basso, la lirica ero arrivato a odiarla».


Poi, a un certo punto, cosa è successo?


«Ho sentito ‘la chiamata’. La produzione delle Terme di Caracalla, che si era spostata a piazza di Siena, metteva in scena la Boheme e l’Andrea Chenier. Si erano fatti male dei ballerini e delle comparse e mi presero come comparsa ‘di riserva’. Della prima non ricordo nulla ma grazie all’Andrea Chenier, l’arioso “Un dì all’azzurro spazio”, mi innamorai nuovamente. Mi buttai. Dopo pochi anni decisi di studiare canto e pensai che, nel giro di due anni, sarei diventato un tenore, proprio come mio padre. Peccato che, per studiare canto, e per imparare a cantare, non basta una vita. Ce ne vogliono almeno due. In ogni caso sono diventato anch’io un tenore».


Ora mi dica: come è nata la formula di ‘AperiOpera®’?


«Una sera eravamo a cena con degli amici e uno mi dice che il Vincerò di Pavarotti proprio non gli piace. Io gli spiego che l’aria non si chiama così, ma Nessun dorma, che fa parte di un’opera lirica di Puccini, la Turandot, che non è una canzone, ma un’aria di un’opera lirica, e gli spiego cosa veniva prima di quell’aria e cosa dopo. Così, a casa nostra, a Trevignano, sul lago di Bracciano, io e mia moglie iniziammo a organizzare delle serate in cui spieghiamo alcune arie e opere liriche. Arriviamo ad ospitare anche 35 persone a serata, poi ci dobbiamo fermare. Organizzarle in casa era troppo gravoso e impegnativo. Mia moglie Sofia mi dice che, di fatto, abbiamo creato un brand e che va tutelato. A quel punto registriamo il marchio e il logo e, da aprile scorso in poi, iniziamo a promuoverlo, organizzando serate sia per italiani che per inglesi perché sono bilingue. L’esperimento funziona e ottiene sempre più successo».


In cosa consistono le serate di ‘AperiOpera®’?


«La nostra filosofia è che la musica lirica non va ascoltata in modo ‘scientifico’, ma con i sensi, in modo viscerale, e non bisogna essere esperti di cinema per andare a vedere un film. Noi facciamo ‘assaggiare’ le opere liriche, e le loro arie, in maniera coinvolgente e facendo aprire le papille gustative. I sapori e i profumi che diffondiamo, attraverso piccole scelte – ma raffinate - di cibi e bevande aiutano a ‘gustare’ l’opera lirica. In ogni serata c’è una ‘sorpresa’ eno-gastronomica, l’ascolto di brani d’opera e una piccola, ma non noiosa, spiegazione. Nessuno canta, tranne nel caso in cui gli eventi si realizzano in vere e proprie hall per dei veri concerti».


Quali sono le opere più gettonate che ascoltate?


«Sono quelle più famose e note come la Boheme, l’Aida, il Rigoletto, la Traviata, la Tosca, l’Elisir d’amore, e simili. Del resto, quando un Paese presenta negli stand i prodotti enogastronomici, mostra quelli più tipici e popolari».


Cosa direbbe a dei giovani che non amano l’opera?


«Che studiare tanto e basta non è piacevole per nessuno, neanche per me, ma studiare per emozioni è piacevole. Non esistono ‘negozi’ di emozioni, ma stand di emozioni sì, e noi così siamo e vogliamo essere: uno stand di emozioni».


di Ettore Maria Colombo

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