Aveva promesso battaglia e così è stato. Dopo un mese scarso di lavoro da capo del Viminale, Matteo Salvini può iniziare a tirare le prime somme degli effetti di una politica di rottura sia interna che nei confronti dell'Europa. Come l'onda, che dopo essersi abbattuta sulla riva retrocede lasciando sulla sabbia tutto quello che ha portato con sé nel suo moto violento e inarrestabile, ora il ministro degli Interni osserva i risultati di una retorica forte e spregiudicata che però rischia di aver perso lo slancio iniziale e di essere nuovamente soffocata dalla controffensiva comunitaria.
Se infatti la linea italiana pare ormai chiara e compatta, salvo qualche sortita interna puntualmente smentita o ridimensionata, nell'intenzione di non riaprire i porti alle Ong e allo sbarco incondizionato dei profughi sul suolo nazionale, dal fronte danubiano la Germania da un lato e l'Austria dall'altro preparano la loro risposta, che oltre a minare il rapporto fra i due assi europei, quello meridionale e quello continentale, rischia di far saltare il patto di Schengen riportando improvvisamente tutta l'Eurozona a quella divisione interna che pareva ormai un lontano ricordo.
In seguito all'accordo "salva governo" fra la Cdu di Angela Merkel e la Csu trainata dal ministro degli Interni Seehofer, prima dimissionario e poi di nuovo in sella dopo aver strappato alla Cancelliera un compromesso rinfrancante sul respingimento dei migranti illegalmente in Germania, con l'annuncio dell'imminente (non si sa poi realmente quanto) installazione di centri chiusi "di transito" in cui vagliare le domande di richiesta d'asilo e accogliere o rimandare nei paesi di partenza, previo accordo da stipulare bilateralmente, non si sa ancora in che modi e tempi, i profughi che non godono dello status di rifugiato, il bavarese Seehofer ha chiarito che i centri non saranno luoghi di detenzione e che i migranti potranno "tranquillamente" tornare sui loro passi, quindi in Austria. Una chiusura de facto delle frontiere, in stretta osservanza, maniacalmente letterale, del documento di Dublino nel paragrafo che cita le normative in merito ai movimenti secondari e all'obbligo del Paese "di sbarco" di accogliere i profughi, in barba alla solidarietà che ha riempito le colonne dei giornali degli ultimi tempi.
E qui casca l'asino, verrebbe da dire. Infatti Sebastian Kurz, cancelliere austriaco di belle speranze, allarmato dal provvedimento tedesco che esporrebbe i confini del suo territorio al respingimento di quei migranti coinvolti, ha voluto subito chiarire di fronte all'Europarlamento, inaugurando il semestre di presidenza dell'Ue, che l'Austria adotterà gli stessi provvedimenti protezionistici, soprattutto in ottica del confine meridionale, quello che interessa Slovenia e Italia. Quanto annunciato prima del Consiglio europeo e in parte sventato dall'accordo, più sulla carta che nei fatti, siglato dai 28, rischia ora di concretizzarsi, con un'escalation di chiusure e respingimenti che mina nel suo principio fondante Schengen e che penalizzerebbe in maniera ancora più netta proprio l'Italia, che si ritroverebbe a farsi carico di tutti quei "rimbalzati" che andrebbero a sommarsi a quelli già in libera circolazione nel Paese. Tenta di tenere botta Salvini, quando afferma con immutata sicurezza di "essere pronto da domani a ripristinare i controlli al Brennero perché l'Italia ha solo da guadagnarci, sono più i migranti che tornano da noi di quelli che vanno da loro". Un'ostentazione di calma che potrebbe rivelare l'altra faccia della medaglia, ovvero una cocente delusione di chi ha visto "cambiare tutto affinché non cambiasse nulla".
Se infatti la voce dura nel Mediterraneo ha portato a una risposta obbligata dell'Ue, portando ai casi esemplari dell'Aquarius e della nave Lifeline, questo provvedimento a tinte teutoniche vede l'Italia tagliata fuori e vittima delle scelte altrui, una vecchia storia che sembra tornare in voga e su cui il ministro Salvini dovrà farsi sentire, per non rischiare di vanificare le premesse d'avvio di governo.
Alessandro Leproux
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