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Salvini fa retromarcia sulla polemica coi giudici e Di Maio ci mette lo zampino



Sgasate, sterzate, inversioni e retromarce. Più che politica questa sembra il Gp di Monza. Dopo il duro attacco di sole ventiquattro ore fa, contro una Magistratura che a suo dire cercava pretesti per «mettere i bastoni tra le ruote» alla sua attività politica di ministro, Matteo Salvini completa il cerchio delle dichiarazioni e torna al punto zero, con una frenata, dettata probabilmente dal buon senso, in cui dice di «non essere al di sopra della legge».

«Nessun golpe giudiziario», dunque. Da zero a cento in poche ore, da pilota di una monoposto lanciata, a fischiettante guidatore di carro, con tanto di spiga in bocca, due diverse velocità. La dura vita del ministro è anche questa, e il capo politico leghista sta iniziando a provarlo sulla sua pelle. Dopo un mese di fuoco iniziato con la messa in stato d'accusa per i fatti della Diciotti, proseguito poi con la sentenza del riesame del Tribunale che confermava la confisca retroattiva e a posteriori di beni della Lega per risarcire quei 49 milioni indebitamente sottratti dalla precedente classe dirigente, dopo l'ennesimo avviso da parte della Procura di Palermo, per il reato di sequestro aggravato, il vicepremier ha probabilmente avuto un sussulto di tipo nervoso e non è più riuscito a trattenere le parole, sgorgate dalla sua bocca come un fiume in procinto di straripare. Ci vorrebbe un amico. Detto fatto, almeno a sentire le parole in mattinata dell'altro vicepremier, Luigi Di Maio, che candidamente, quando c'è da prendersi meriti, ha ammesso di aver avuto un colloquio con il suo alter ego leghista, incitandolo al rispetto del lavoro dei giudici e all'astenersi da commenti infuocati che altro non fanno se non alimentare polemiche e bagarre che possono soltanto nuocere all'alleanza. L'alleanza, appunto. Di Maio, da bravo amico, ma con un occhio sempre proiettato ai fatti, quelli concreti, sa benissimo che far saltare il tavolo ora coinciderebbe con un suicidio politico e prende tempo, stempera tensioni, raddrizza storture interne alla maggioranza gialloverde.


Niente è lasciato al caso e visto il momento infuocato, alle soglie di un autunno in cui la legge di bilancio farà parlare eccome, meglio riportare gli animi a una temperatura settembrina accettabile. «Aspetto con grande rispetto, celerità e curiosità le sentenze e i giudizi che mi riguardano». Curiosità, appunto. Il capo politico del Carroccio muore dalla voglia di bruciare le tappe del processo, per ora più mediatico che altro, che lo vede protagonista, forte di un appoggio e di un consenso popolare mai così alto per una figura politica negli ultimi anni. Uno in effetti c'è stato, l'altro Matteo, quello che «montandosi la testa», prendendo in prestito un'espressione proprio di Salvini, ha finito per farsi da solo il funerale politico e ora cerca operazioni parallele per recuperare un po' di quella faccia perduta.


Tornando al governo, la presentazione del dll anticorruzione, lo "spazza corrotti", come è stato rinominato dalle parti di Rousseau, ha generato nuove divisioni interne alle due ali dell'esecutivo, ancora una volta ben ricucite dagli attori in gioco, ma la sensazione è che da qui in avanti ogni provvedimento caro all'una o all'altra parte verrà analizzato, scandagliato e occorrerà un sapiente lavoro diplomatico per evitare precipizi. Si navigherà a vista, che è sempre meglio di nulla. Sempre meglio che stare dall'altra parte del tavolo a guardare chi decide. Della serie: avete voluto la bicicletta, ora è il turno di pedalare; e coordinare le due gambe di una creatura poliforma, quale è l'esecutivo attuale, sembra davvero lo scoglio più difficile da superare.

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