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Varoufakis spara a zero sull'Italia e su Salvini: «Alimenta xenofobia in un momento di fascismo»



Da un default sfiorato a una lezione di economia e diritto civile il passo, si sa, può essere breve. Se poi l'autore del passo è l'ex ministro dell'Economia del Paese, o quel che resta, maggiormente esposto e disastrato dagli effetti della crisi globale, la Grecia, allora i proclami si permeano anche di quello spirito di rivalsa di chi, non potendo parlare del proprio operato, non trovandosi di fatto ad operare, non può che limitarsi a fare le pulci a chi invece è all'opera eccome e i risultati li sta vedendo attuarsi giorno dopo giorno.


Dopo la stangata dell'agenzia di rating Fitch, che declassa di fatto la stabilità italiana, rimasta sempre alle tre BBB, ma passata da un outlook "stabile" a "negativo", ci ha pensato anche l'economista e accademico greco, naturalizzato australiano, Yanis Varoufakis a sparare qualche bordata sulle politiche, sia economiche che sociali, del nuovo governo gialloverde, aderendo allo sport che ha fatto tendenza quest'estate e i cui giocatori, sempre più spesso, sono ex giocatori del gioco ben più arduo della politica vera, quella di chi è chiamato a risolvere guai e a dettare proposte.


Fantasmagorico (perché a mala pena pervenuto) ministro dell'Economia nell'esperienza di governo di Alexis Tsipras, quello che doveva far partire l'escalation disgregativo dell'Ue e del suo diabolico euro, ma finito invece per assecondare, a capo chino e con tante scuse, il volere della suprema Troika nella speranza che almeno le briciole e i sotto bicchieri rimanessero al loro posto in una Grecia letteralmente svenduta a prezzo di saldo, Varoufakis, ora evidentemente dotato di una sagacia e una prontezza mancate nel momento in cui davvero gli servivano, ha voluto indicare agli italiani una verità evidentemente scomoda ma che, per nostra fortuna, si è prodigato a spiegarci: «Se fossi una agenzia di rating avrei detto le stesse cose sull’Italia». Caspita, avrà pensato qualcuno, bel cambiamento repentino in soli pochi mesi. Della serie che è bello parlare di rivoluzioni e cambiamenti, ma se li fanno gli altri sono sempre un po' meno belli.


Ma non solo accenni su un'economia definita dall'accademico nato ad Atene «non sostenibile nell'attuale Eurozona», anche qualche stoccata al populismo per non farci mancare proprio nulla in questo idilliaco ritorno ai lavori settembrino. E, nemmeno a dirlo, il destinatario dell'attacco è il ministro degli Interni, vicepremier e capo politico della Lega Matteo Salvini, accostato un'altra volta a una parola che evidentemente suona bene accanto al suo cognome: fascismo. Varoufakis, nel corso di un'intervista a La Stampa, lo ha definito «assai abile a parlare con chi ha perso la speranza». Insomma, una sorta di imbonitore delle masse della peggior specie, un demagogo da quattro soldi, che però, udite udite, in due mesi ha portato il partito a essere, ultimi sondaggi alla mano, il primo in questo drammatico Paese in cui le derive xenofobe e razziste sembrano essere, almeno a detta degli altri, che in questo "Paesaccio" non ci vivono, all'ordine del giorno. Un «momento di fascismo», per la precisione, l'espressione dell'economista greco, a cui proprio non deve andare giù che qualcuno, in barba ai pronostici e agli iettatori, abbia portato avanti, a suon di insulti ricevuti, un'idea partita da lontano e soprattutto dal basso. Quello che forse è mancato alla Grecia.


«L’ultradestra, i razzisti e gli xenofobi si uniscono sempre magnificamente». In un climax ascendente, quelli che erano sentiti suggerimenti, diventati giudizi, sublimano in vere invettive contro l'asse governativo italiano e contro il capo del Viminale, rappresentativo evidentemente di tutti quei valori che la bella Europa, quella che a detta o pensiero di qualcuno ci sta facendo vivere in vacanza nove mesi l'anno e guai a criticarla, stigmatizza e di cui non vuol sentire nemmeno una parola. In nome di un buonismo e formalismo ormai sfacciati, in cui la forma ha preso totalmente il sopravvento sui contenuti, che spesso nemmeno ci sono o servono, parlare chiaro e tondo, dare alle cose il loro vero e giusto nome è diventato sinonimo di rappresentazione di una schiera assoluta e negativa del peggio che l'essere umano possa esprimere. Un dramma, se solo si guarda indietro nella storia: se infatti questo modus pensandi fosse stato legge e prerogativa anche dei nostri antenati, non avremmo avuto le rivoluzioni e i grandi ed epocali cambiamenti che, lentamente, passo dopo passo, sono stati il fondamento per conquiste sociali oggi date per assodate. Insomma, senza un po' di sano spirito di ribellione e di pragmatismo, conosceremmo un mondo sicuramente diverso e in cui probabilmente la voce del più forte avrebbe trovato campo libero. Ben venga dunque la xenofobia, il razzismo preconfezionato di Bruxelles, Salvini probabilmente se li accollerà tutti in una messianica opera di rivoluzione che, almeno questa volta, non avrà e non dovrà avere proprio nulla di gentile.

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