Quella autunnale si annuncia come una delle manovre fiscali più complicate degli ultimi governi. Si è tenuto ieri un lungo Consiglio dei ministri per sviscerare i conti pubblici e tentare di racimolare le risorse necessarie per finanziare gli interventi dati in pasto all'elettorato durante la campagna elettorale. Flat tax e reddito di cittadinanza restano le priorità del governo, provvedimenti sponsorizzati dall'una e dall'altra parte e attorno ai quali i due vicepremier hanno eretto una sorta di muro difensivo e sui quali si giocano una bella fetta di credibilità. Il nodo delle coperture finanziarie resta lo scoglio principale, e se ne sono accorti anche i due "consoli", rassegnati a portare in atto la rivoluzione graduale del Fisco, non essendo realistico poter parlare di un drastico cambio di marcia che costerebbe, secondo diverse proiezioni, sui 70 miliardi.
Proprio sul tema delle risorse da rinvenire per far fronte all'enorme spesa da mettere in conto nella legge di bilancio, il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha seminato attimi di panico quando ha ipotizzato la necessità di un «riordino dell'Iva per semplificare alcune aliquote», andando così in deroga alle promesse più svolte sbandierate da entrambe le ali di governo sul fatto che l'imposta sul valore aggiunto non sarebbe aumentata. Anche sul bonus degli 80 euro, eredità del governo Renzi, il ministro si è espresso, come già accaduto in passato, con forte scetticismo, prevedendo anche in questo caso un «riordino» che sa di cancellazione. Parlando infatti di una misura strutturale le risorse non andrebbero reperite ma si tratterebbe solo di destinarle ad altro uso, una manovra da cui si potrebbero ricavare 9 miliardi. Più complicato il discorso dello stop all'aumento dell'Iva, che dovrebbe passare dal 22% attuale al 24,2%. In questo caso i 12 miliardi che si andrebbero a perdere in caso di mancato incremento dell'aliquota principale andrebbero reperiti altrove, una pratica certamente ardita. A conferma di quanto espresso dall'inquilino di via XX Settembre, è intervenuto anche il viceministro dell'Economia, il leghista Massimo Garavaglia, anche lui palesemente intenzionato a porre uno stop al bonus renziano, convinto che sia «molto meglio avere una riduzione strutturale delle tasse piuttosto che un bonus che resta sempre appeso». Gli 80, specifica Garavaglia, «vengono messi come riduzione fiscale anziché come esborso». Anche sull'Iva l'economista del Carroccio segue la linea tracciata dal suo superiore, ribadendo che non ci sarebbe «nessuno scontro sull'Iva, come ha detto Tria, non c'è intenzione di toccare l'iva al netto di qualche piccolo aggiustamento. Vogliamo dare certezze sia in termini di risorse sia in termini di tempi di avvio delle riforme».
Di fronte ai pareri tecnici dei membri del governo c'è poi la risposta prettamente politica degli attori principali, che non mollano il punto nonostante le evidenze sembrino smentirli. Restano allora compatti sulla parola data sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio quando negano con forza quanto anticipato dalle parti del Dicastero dell'Economia. «L'Iva e gli 80 euro non si toccano», il mantra di moda dalle parti di Palazzo Chigi dopo il lungo vertice di ieri sera. Per il delfino di Beppe Grillo non sarà un problema trovare le coperture per la manovra senza intaccare le promesse già fatte: «Ci siamo messi con il bilancio dello Stato in mano a tagliare quello che non serve e confido nel fatto che nei prossimi mesi otterremo dei grandi risultati per quanto riguarda la possibilità di andare oltre quei parametri che non significa mettersi contro l'Europa ma significa dire che a noi serve fare degli investimenti per poter far ripartire il nostro paese». Si presenta di nuovo, quindi, la possibilità, per ora in verità unilateralmente espressa solo da parte italiana, di lavorare in deficit rispetto ai parametri europei, forse l'unica ancora di salvezza per far quadrare conti che sennò sarebbe difficile tenere in piedi. Anche il bonus degli 80 euro di Renzi, ampiamente vituperato anche dal Movimento 5 Stelle, che aveva messo in conto nel programma elettorale il suo dirottamento per sostenere altri provvedimenti di revisione dell'Irpef, sembra improvvisamente essere diventato un tema intoccabile. Anche Salvini, durante un suo intervento in mattinata, avrebbe fatto eco al collega grillino, smentendo i colleghi dell'Economia sia sulla cancellazione del bonus che sull'aumento delle aliquote dell'Iva.
Insomma se non uno scontro sul Fisco, qualcosa di simile e nonostante la grande capacità degli attori di mantenere toni e atteggiamenti pacati e che non facciano propendere per una crisi interna, la differenza di vedute di fronte a chi deve fronteggiare le masse elettorali e chi invece si trova a dover mettere mano, realmente, sui conti si sta inasprendo e un passo indietro di qualcuno sembra l'unica soluzione realistica per evitare un deflagrazione che significherebbe la sconfitta di tutti.
di Alessandro Leproux
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